«È così terribile odiare e perseguitare, così dolce amare e fare del bene, così necessario essere giusti!». Sono parole di Henri Grégoire e sono lo sfondo di un appassionato libro di denuncia contro le nazioni europee incapaci di metter fine alla schiavitù, all’odio motivato sul colore della pelle o sulla religione e alla persecuzione di ogni individualità marginale. Guardando sconsolato l’orizzonte politico tracciato dal Congresso di Vienna, Grégoire riconosceva che l’arte di asservire e tormentare gli esseri umani ha forme di applicazione diversificate. Auspicava che la comune appartenenza al genere umano potesse essere da sola in grado di tutelare la dignità e conferire la piena cittadinanza. È ciò che fa da premessa nel 1815 a Sulla tratta e la schiavitù dei neri e dei bianchi, ora riproposto in italiano nella traduzione di Federica Battaglia (a cura di Tommaso Visone, Castelvecchi, pp. 96, euro 11,50).

VESCOVO CATTOLICO, Grégoire fu un protagonista del processo rivoluzionario nato nel 1789 con la sua proposta di promuovere la democrazia e la sua messa a valore più autentica, la fraternità. La Francia illuminista era disposta ad abolire la tratta ma si dimostrava poco propensa a discutere la schiavitù, per non urtare l’interesse dei grandi proprietari. Grégoire prese sul serio l’impegno della rivoluzione di rigenerare l’umanità ma ne colse le aporie che impedivano di declinare l’altezza dei principi in pratiche di emancipazione. A cosa era servito promettere la libertà se poi nelle colonie si continuava ad assoggettare gli uomini in nome del profitto? Anche un solo individuo oppresso costituiva una minaccia. «Il pregiudizio del colore esiste ancora da noi», denunciava il vescovo. Molti, con troppa spregiudicatezza, avevano difeso l’anomalia di questa eguaglianza imperfetta, pensando in tal modo di difendere la rivoluzione di Francia. Andava preservata, piuttosto, la libertà di scelta degli individui: «l’interesse dello Stato è sempre stato il pretesto del quale si è servita l’ambizione per coprire i suoi attentati, le sue depredazioni e questa continuazione, raramente interrotta, di guerre rovinose il cui scopo e il risultato non sono quasi mai stati la felicità».

SICCHÉ, malgrado i rivoluzionari avessero dichiarato davanti al mondo l’eguaglianza e la libertà, si consentiva la sopravvivenza del Code noir e di mantenere asservite le colonie per evitare il disastro economico dei ricchi colonialisti francesi. Grégoire denunciava già allora la retorica mortifera del fardello dell’uomo bianco promotore di civiltà. Ad Haiti, Toussaint Louverture aveva dimostrato che, guadagnata l’autonomia, le vecchie colonie erano in grado di autogovernarsi e darsi leggi giuste capaci di animare lo spirito pubblico, senza più nutrire alcuna reverenza verso gli antichi padroni, fossero pur essi dei rivoluzionari. Malgrado anche il vescovo scontasse il paradosso della cittadinanza che gli impediva di estendere gli stessi diritti alle donne, gli va riconosciuta una grande lungimiranza nella promozione di un nuovo piano educativo per i più giovani, unica misura capace di strappare via i pregiudizi di un’epoca.