Sulla piazza di Celano, la ricostruzione di una strage dimenticata
SCAFFALE «Il picchio rosso», un libro di Renzo Paris per Editoriale Scientifica
SCAFFALE «Il picchio rosso», un libro di Renzo Paris per Editoriale Scientifica
«Tutto il magico mondo della mia infanzia marsicana si è dissolto in un amen alle due e mezzo di giovedì 15 novembre 2019. Il file de Il picchio rosso è scomparso dal display del computer. Eppure ho cliccato diligentemente “save” pagina dietro pagina, ma non è servito a niente». Un maledetto virus può cancellare un file dal computer ma nella mente dell’autore del libro i ricordi restano indelebili, specialmente se è spinto da un impellente dovere morale.
«Vendicaci», urla infatti l’ombra di Agostino Paris ucciso insieme ad Antonio Berardicurti il 30 aprile 1950, sulla Piazza IV novembre di Celano (paese natale dello scrittore), dai carabinieri, dalle guardie del principe di Torlonia, padrone delle terre dell’ex lago del Fucino, e da un gruppo di fascisti che spararono sulla folla dei braccianti, ferendo altre dieci persone. Una strage rimasta impunita, quasi completamente dimenticata e oggi ricostruita da Renzo Paris, grazie alla sua memoria e a documenti e alle testimonianze dell’epoca, nel suo Il picchio rosso (Editoriale Scientifica, pp. 163, euro 13). Allora lo scrittore marsicano aveva sei anni ed era un bambino innocente che scorazzava con il suo picchio rosso per la campagna.
IL RAGAZZO lo aveva prelevato direttamente dal nido, allevandolo con cura. «Mi innamorai del picchio che a pranzo saltellava sul tavolo e si sistemava sulla mia spalla, frugando con il becco nelle orecchie, forse alla ricerca di un pertugio dove fare il nido. Se lo chiamavo si staccava dalla zanzariera e veniva a troneggiare tra i miei capelli. A volte però si nascondeva sotto il lettone dei miei genitori e si applicava a fare buchi sul muro, per nulla apprezzati da mia madre». L’uccellino era diventato il suo compagno di giochi, una vera e propria storia d’amore all’interno di una realtà fatta di miseria, di ingiustizie, di schiavitù sociale e di sfruttamento da parte dei feudatari e rimasta immutata nel corso dei secoli.
QUEL GIORNO infausto era andato nel luogo dell’eccidio con i suoi genitori e con gli abitanti della baraccopoli del rione Campitelli, il più malfamato del paese. Teneva con sé in una gabbia l’amatissimo picchio rosso, che nella sparatoria subì la stessa sorte dei caduti. I genitori dello scrittore erano molto poveri e il padre doveva fare salti mortali per mandare avanti la famiglia; e così all’inizio degli anni sessanta si erano trasferiti a Roma (Giovanni Paris aveva vinto un posto di usciere nel Ministero di Grazia e Giustizia, raccomandato da un democristiano) e da lì era iniziata una nuova vita, ma lui quella storia non l’aveva mai scordata, anche perché era ritornato spesso nella sua Marsica, specialmente in occasione delle presentazioni dei suoi libri o per partecipare ad altre iniziative culturali, ritrovando molti amici e amiche della sua infanzia.
NEL LIBRO, Paris intreccia con maestria vari piani temporali, ricordi della sua fanciullezza con ricordi degli anni sessanta e del nostro triste presente, e cioè con i giorni del virus cinese, evitando così di costruire una storia lacrimevole, fatta solo di nostalgia e di rimpianti. Così le vicende personali si intrecciano con la memoria storica nella ricostruzione di una ferita insieme pubblica e privata, che rappresenta la perdita dell’innocenza di un’infanzia felice.
Ne Il picchio rosso i fatti vengono raccontati mediante una prosa sorvegliata e asciutta, a tratti struggente e commovente. Se mi chiedessero di definirlo in poche parole risponderei che è innanzitutto un’opera di denuncia, un grido di dolore contro la violenza e le ingiustizie del mondo; un libro necessario, espressione di un’alta coscienza morale, sociale e politica da parte di uno dei più importanti scrittori italiani contemporanei.
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