Non capita tutti i giorni di vedere Brian Eno in scena, e di sentirlo cantare dal vivo: e trovarsi di fronte quest’uomo di settantacinque anni, che in una lunga carriera da «non musicista» – come ebbe a definirsi facendo grande scalpore un mezzo secolo fa – ne ha fatte di cotte e di crude, e ascoltarlo semplicemente cantare, a volte col vocoder ma per lo più al naturale, con una gran bella voce – tenuto conto per di più dell’età – e con un lirismo e un calore da crooner, ha davvero qualcosa di commovente. In due repliche alla Fenice, pomeridiana e serale, ovviamente sold out, Eno sabato alla Biennale Musica – che poi domenica gli ha conferito il Leone d’oro alla carriera – ha presentato in prima mondiale Ships, un lavoro orchestrale che si ricollega al suo album The Ship del 2016: il titolo era un riferimento al Titanic, simbolo della presunzione dell’uomo, con esiti catastrofici, nel rapporto con la natura.

Briano Eno alla cerimonia di premiazione del Leone d’Oro alla carriera, foto di Andrea Avezzù

ENO NON È la prima figura di una musica contemporanea non di matrice classico-accademica a ricevere il Leone d’oro: nel 2014 fu per esempio premiato Steve Reich, nel 2018 Keith Jarrett. Quello a Jarrett, che non fu peraltro presente, apparve come un Leone à la page, un po’ ammiccante per richiamare l’attenzione sulla Biennale Musica ma piuttosto avulso dalla fisionomia della manifestazione. Diverso questo Leone a Brian Eno, e ulteriore indice del cambio di passo che si è avvertito dal 2021 con l’avvio della direzione di Lucia Ronchetti: è evidente che un Leone d’oro a Brian Eno è motivo di grande richiamo per la Biennale Musica, nella direzione del rimescolamento e allargamento del pubblico, ma in questo caso il Leone d’oro si inseriva organicamente e coerentemente in una edizione dedicata all’elettronica e piena di pionieri in questo campo ma che guarda anche molto al nuovo, e per un aspetto e per l’altro Eno ci figura a pieno titolo. Inoltre la Biennale Musica è riuscita a portare Eno a Venezia con una novità che è nata proprio da una sua iniziativa, come Eno ha sottolineato ringraziando domenica mattina nella cerimonia del Leone d’oro: «non avevo mai pensato di fare una cosa del genere – ha detto della proposta della Biennale di lavorare con un’orchestra – ma ho pensato che potevo provarci».Alla Fenice l’artista canta con il supporto della Baltic Sea Philarmonic

E L’OPERAZIONE di cui la Biennale è all’origine si traduce poi anche in un tour che porta in questi giorni Eno a Berlino, Parigi, Utrecht e Londra. Sul palco di Ships ci sono alcune decine di musicisti, tutti giovani, della Baltic Sea Philarmonic, una voce recitante, Peter Serafinowicz, una vocalist, Melanie Pappenheim, il chitarrista Leo Abrahams, antico e fidato collaboratore di Eno, e il tastierista Peter Chilvers (Serafinowicz, Abrahams e Chilvers comparivano anche in The Ship); dietro c’è una linea di percussioni e altri musicisti, e in una posizione arretrata rimane, per tutta la durata dello spettacolo, anche Eno; davanti ci sono, in piedi, archi e strumenti a fiato, e c’è l’esuberante, estroverso Kristjan Jarvi, direttore e responsabile dell’orchestrazione. La Baltic Sea Philarmonic è amplificata, e nessuno ha davanti una partitura: l’assenza di spartiti e l’esecuzione a memoria favoriscono la fluidità della musica, in atmosfere sinfoniche misteriose e inquiete, momenti melodici, passaggi che possono far pensare a pagine pop di decenni fa, suggestive emergenze solistiche (trombone, clarinetto basso, chitarra…), che concorrono ad un insieme coinvolgente e di grande eleganza. Ships si conclude con Eno che canta I’m Set Free di Lou Reed, un brano dei Velvet Underground che aveva ripreso in The Ship.

ESATTAMENTE 45 minuti: dopo aver scherzato col pubblico, «ho impressione che parecchi si aspettassero della musica ambient…», Eno ha continuato per altri tre quarti d’ora, sempre con l’orchestra, cominciando con By This River, una canzone del ‘77, e poi con alcuni brani dal suo album personale di un anno fa, Foreverandevernomore, denso di preoccupazioni ecologiche. Grande successo, e non il minimo atteggiamento da divo: e alla consegna del Leone d’oro, riferendosi al «maestro» con cui gli si è rivolto il presidente della Biennale, ha detto: «sono molto lusingato, ma non ci credo veramente».