Madre sarda, papà egiziano che presto li abbandona per tornare in patria e formare un’altra famiglia. Privato e professionale che si intrecciano in Mahmood, documentario/ritratto dell’artista capace di rimodulare la scena pop italiana cavalcando trap, urban e world music, ma riuscendo nell’impresa di vincere Sanremo per ben due volte. Diretto da Giorgio Testi, presentato alla Festa di Roma e fino a domani in sala come «evento speciale» distribuito da Nexo, dal 15 novembre sarà disponibile in streaming su Prime Video. Un viaggio che si muove lungo le tracce del tour europeo che lo ha portato al Bataclan di Parigi – data dall’impatto chiaramente simbolico – allo 02 Sheperd’Bush Empire di Londra fino alla Sala but di Madrid, nella Spagna che lo ha abbracciato come fenomeno.

Nel documentario tra delusioni (l’eliminazione a X Factor nel 2012) e struggimenti, successi vissuti con stupore

CANZONI eseguite sul palco con il timbro acuto e particolare di Mahmood a raccontare/raccontarsi riversando nei testi tormenti privati e storie generazionali. E i fan rispondono cantando all’unisono, brano dopo brano. Sfuggente a tratti – ironico ma è un modo quasi per schernirsi e mascherare la timidezza – Mahmood esce anche dai filmini privati, i viaggi con il padre Ahmed in Egitto poco più che bambino e le confessioni sul complicato rapporto con il genitore, ma la sua personalità si delinea soprattutto nelle parole della madre Anna, figura centrale della sua vita: «Si mostrava sempre un bimbo felice, ma in realtà riversava i suoi tormenti nelle canzoni».

INSOMMA nel doc tra delusioni (l’eliminazione a X Factor nel 2012) e struggimenti, successi vissuti con stupore – l’imprecazione che gli sfugge in diretta appena premiato da Baudo per Sanremo giovani, lo sguardo stupito dopo la vittoria tra i big con Soldi sul palco dell’Ariston, esce il personaggio Mahmood. Ma il più sincero contributo è il duetto con Carmen Consoli che lo ospita nella sua casa siciliana, curiosa di scoprire nella metrica e nella scrittura dell’artista milanese strutture fuori dai canoni delle pop song. La regia segue diligente, ma talvolta il racconto si fa un po’ scontato e il montaggio con l’alternarsi di frammenti di esibizioni e testimonianze, ricalca modalità che sono più nella logica di talent e reality televisivi che cinematografici. «Decidere di fare un docu sulla propria vita – chiosa Mahmood – ti costringe ad essere sincero e a raccontare anche cose un po’ più scomode. Ma è stato molto terapeutico».