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Sul «non» referendum catalano il Tribunale dà ragione al governo

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Spagna «Sospensione» confermata per il voto del 9 novembre scorso. Ora i partiti indipendentisti sperano di fare il pieno nell’unica consultazione legale rimasta, quella per il rinnovo del «Parlament»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 5 marzo 2015

Per le rivendicazioni autonomiste catalane, gli anni elettorali come il 2015 sono l’equivalente del sale gettato su una ferita sempre aperta. Negli stessi giorni del dibattito sullo stato della nazione a Madrid la settimana scorsa, verosimilmente l’ultimo in cui il Pp e il Psoe la fanno da padroni, il Tribunale costituzionale (Tc) si è svegliato dal suo letargo e ha emesso l’attesa sentenza sul ricorso del governo del Pp contro la legge catalana sulle consultazioni popolari (approvata in settembre), e sulla convocazione della «consultazione non referendaria» del 9 novembre scorso. Una consultazione (priva di ufficialità dopo il ricorso del governo centrale) in cui votarono più di due milioni e 300 mila catalani, e una netta maggioranza di essi espresse una chiara volontà che la Catalogna diventasse uno stato autonomo e indipendente.

Ebbene, come previsto, il Tribunale, con il voto unanime dei suoi 12 membri (tutti di stretta nomina politica), ha annullato parte di due articoli della legge con la motivazione che la norma catalana pretende di regolare surrettiziamente un istituto come quello del referendum, la cui competenza in Spagna è esclusivamente del governo centrale. E questo nonostante la legge parli esplicitamente di consultazioni senza alcun carattere vincolante. Come conseguenza, il Tc conferma la sospensione della «consultazione» del 9N, una sospensione che aveva costretto il governo catalano a inventarsi un meccanismo alternativo “informale” per poter mantenere la promessa di celebrare comunque la consulta. Tuttavia la sentenza, al contrario di quanto richiesto dal governo del Pp (che aveva impugnato ben 36 articoli), mantiene inalterato il resto della legge, lasciando aperta la possibilità di effettuare consultazioni “settoriali” (come per esempio per conoscere il parere dell’opinione pubblica sulle privatizzazioni).

Sempre la settimana scorsa si è conosciuta la decisione del Consejo General del Poder Judicial, l’equivalente del Csm italiano, sul giudice dell’Audiencia Provincial di Barcellona Santiago Vidal. Vidal, al di fuori della sua attività di magistrato, aveva partecipato alla stesura di una possibile costituzione catalana, e si era espresso pubblicamente più volte in favore del «diritto a decidere» l’autodeterminazione dei catalani.

Mantenendo una lunga tradizione della magistratura spagnola, notoriamente a destra, l’organo di autogoverno dei giudici (stavolta con il voto a maggioranza di 12 giudici conservatori contro 9 progressisti) ha considerato che il giudice ha peccato di «ignoranza non scusabile nell’esecuzione dei doveri giudiziali» e l’ha sospeso per tre anni. La durissima sentenza, benché attesa, ha suscitato molta indignazione in Catalogna. Vidal ha fatto sapere di essere stato contattato da tutti e tre i partiti catalani favorevoli all’indipendenza (i democristiani di CiU, attualmente al governo, il partito di Esquerra Republicana e il movimento della Candidatura di unità popolare) per essere candidato alle elezioni municipali di maggio – ma in settembre si voterà anche per l’elezione del parlamento catalano, e Vidal potrebbe anche finire in parlamento.

Intanto CiU lavora con i suoi soci di Esquerra Republicana, esterni alla maggioranza, alla legge di bilancio 2015. Stavolta la notizia è di segno opposto: il Consiglio di Garanzie Statutarie, una specie di equivalente a livello catalano del Tribunale costituzionale, ma con solo valore consultivo, ha bocciato venerdì gli emendamenti di Esquerra alla legge di accompagnamento al bilancio della comunità autonoma. Gli emendamenti, accordati con CiU, miravano a sottrarre competenze a Madrid in materia fiscale, di welfare e di sicurezza nucleare. Per il Consiglio la Generalitat non può legiferare su temi per i quali la competenza è (ancora) del governo centrale. Le modifiche che apporteranno i partiti questa settimana sono solo lessicali. L’accordo per trascinare fino a settembre una legislatura dedicata in maniera quasi esclusiva al tema del referendum del 9 novembre scorso è infatti proprio basato sull’accordo fra i tre partiti favorevoli all’indipendenza per mettere in piedi strutture di stato in vista di una eventuale indipendenza. La speranza è che a settembre una chiara maggioranza dei catalani nell’unico voto legale permesso (quello per l’elezione del loro Parlament) voti in maniera schiacciante i partiti favorevoli all’indipendenza (che già sono maggioranza).

Ma dopo le elezioni amministrative di maggio e a pochi mesi da quelle politiche generali, con l’incognita Podemos anche in Catalogna e il partito di destra mascherato da sinistra moderata Ciudadans in fortissima crescita, gli scenari politici a Barcellona sono quanto mai incerti. Al momento la possibilità di una «dichiarazione unilaterale d’indipendenza» sembra solo un argomento elettorale più che uno scenario politico realistico.

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