Sul godimento improduttivo, oltre la «jouissance»
Il libro «Capitalismo e Candy Crush» di Alfie Brown
Il libro «Capitalismo e Candy Crush» di Alfie Brown
È difficile parlare oggi di un libro che, sin dalla sua introduzione, ci avverte del suo essere «anacronistico.» Concepito a metà del 2014 e arrivato in traduzione italiana, edito da Not di Nero Editions, alla fine del 2019, Capitalismo e Candy Crush (Enjoying It: Candy Crush and Capitalism) di Alfie Brown è un breve e introduttivo saggio sul godimento («enjoyment» nel testo originale). Brown costruisce su (tra gli altri) Pierre Bourdieu, Félix Guattari e Gilles Deleuze, Jacques Lacan e Slavoj Zizek per spiegare come oggi quello che Freud descrive come Super-Io (in estrema sintesi, la pressione sociale) non castri il nostro desiderio di godere ma anzi ci esorti al godimento. E qualsiasi godimento, da quello che proviene dalla lettura di un saggio come Capitalismo e Candy Crush (un «godimento produttivo») sino a quello generato da una partita a Candy Crush (un «godimento improduttivo»), è sia frutto di apprendimento sia inseribile e inserito nelle necessità della società capitalista, anche quando sembra naturale (un’espressione della nostra individualità), radicale, anti-capitalista e anti-lavorativo.
Anzi, il godimento «è il motore dell’ideologia giacché naturalizza ogni esperienza socialmente acquisita» e ha lo scopo di «contenere e limitare il potenziale rivoluzionario nei soggetti più insoddisfatti e potenzialmente sovversivi,» soddisfacendone per esempio i desideri nei mondi virtuali dei videogiochi. È una conclusione che troviamo simile già in Dialettica dell’Illuminismo (1944) di Max Horkheimer e Theodor Adorno: «l’intrattenimento è la continuazione del lavoro nel tardo capitalismo. È ricercato da chi vuole sfuggire alla meccanizzazione del processo lavorativo, in modo da poter poi tornare nuovamente a immergercisi.» Brown cerca poi in un tipo di godimento, quello che Lacan definisce «jouissance», «i glitch del sistema, ovvero quei momenti in cui entra in crisi la logica del godimento» e nasce allora la possibilità non tanto di sfuggire all’ordine capitalista ma almeno di comprendere come il godimento si strutturi e ci strutturi. È uno spunto che risuona con le conclusioni della queer theory, per esempio dei saggi di Bonnie Ruberg che trova anche nei videogiochi (per esempio nel piacere del fallimento) piaceri diversi da quelli desiderabili nella società, intesa non solo come società cis-etero-normativa ma anche come società capitalista.
Ma nella nuova introduzione all’edizione italiana Brown stesso rileva il limite di una tale proposta: nell’era dello smartphone e del social network, quando in ogni momento del giorno ogni relazione sociale è regolamentata e monetizzata dalle piattaforme digitali, «non sembra più possibile che la sinistra o un movimento politico o culturale progressista possano sostenersi investendo nei momenti di fallimento o di glitch». Oggi non abbiamo bisogno di nuovi modi di intendere il godimento della produzione capitalista ma di nuovi modi (potremmo definirli «queer») di produrre e distribuire il godimento.
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