Da quasi settant’anni, ogni anno, si svolge l’Eurovision Song Contest, nato nel dopoguerra come festival canoro d’intrattenimento che facesse da collante fra gli abitanti di paesi che, fino a poco tempo prima, si erano sparati addosso. A istituirlo l’European Broadcasting Union (Unione Europea di Radiodiffusione) con sede in Svizzera, dalla prima edizione del ’56 a oggi solo quella del 2020 è stata cancellata. Una manifestazione mastodontica, un carrozzone diremmo qua, e forse non a caso perché a ispirare l’ideatore Marcel Bezençon fu proprio il Festival di Sanremo. In Italia è diventato di interesse nazionale e imperdibile riferimento delle ultimissime tendenze musicali, come al solito, quando nel 2021 i Mäneskin vinsero con Zitti e buoni, prima di loro solo Gigliola Cinquetti con Non ho l’età (1964) e Toto Cutugno con Insieme: 1992 (1990). Curiosità rafforzata l’anno dopo, nel 2022, quando l’Eurovision si svolse a Torino, nel 2023 l’Esc è stato seguito da almeno 162milioni di spettatori in 38 paesi.
In questa edizione che va in onda dal 7 all’11 maggio dalla Malmö Arena in Svezia, a rappresentare l’Italia tocca ad Angelina Mango con La noia, brano che originariamente dura 3.09 minuti, ma tagliato a 3 minuti, tempo massimo a disposizione per ogni autore per assecondare il ligio rigore elvetico matrice della kermesse.
Da qua, abituati al Festival della canzone italiana, sappiamo bene quanto siano necessarie le polemiche, e quindi poco ci stupisce sapere che gli spettatori non potranno entrare con simboli, abiti o bandiere diverse da quelle dei paesi partecipanti, cercando di neutralizzare ogni rischio che possa deviare la perfetta riuscita della manifestazione, chiaramente il riferimento è al possibile sventolio dei colori palestinesi: «Oltre a quella del Pride, le uniche bandiere ammesse saranno quelle dei 37 Paesi partecipanti», ha dichiarato Martin Österdahl presidente di Ebu. Nella scorsa edizione non venne mandato in onda un videomessaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, con l’organizzazione che ripeteva fino allo sfinimento che è un evento apolitico.

Nella foto piccola manifestazioni contro Israele a Malmö, foto Ansa

AD ONOR del vero anche la cantante israeliana Eden Golan ha dovuto cambiare canzone, giacché il brano prescelto October Rain ha, già dal titolo, chiari riferimenti al 7 ottobre e al massacro del festival Supernova, poco importa se a gennaio 2400 artisti finlandesi e svedesi hanno firmato un appello per chiedere l’esclusione di Israele. Esclusione già applicata agli artisti russi dal 2022, non più ammessi a causa dell’invasione dell’Ucraina. Insomma ogni narrazione radicata all’intrattenimento della società dei consumi deve eludere ogni possibilità di conflitto, mantenendo lo spettatore partecipe eppure distaccato, la critica si può al limite riversare sulle qualità canore. Lo slogan per niente originale di quest’anno, United by Music, sembra una presa in giro. Le scelte restano tutte prettamente commerciali, come la presenza dell’Australia (dal 2015) in quanto membro dell’Unione Europea di Radiodiffusione, ma soprattutto per gli ottimi risultati di pubblico.

L’ARRIVO del capo dello Shin Bet a Malmo per coordinare le misure di sicurezza dei partecipanti israeliani è un evidente segnale di tensione, venti di protesta si stanno alzando magari sotto forma di piccole iniziative, come quello alla sala concerti Plan B che per l’11 ha programmato FalestinVision. Un controfestival per boicottare l’Eurovision in quanto, consentendo a Israele di partecipare, complice del genocidio: «Siamo uniti dalla solidarietà e dalla musica e cogliamo l’occasione per evidenziare la cultura palestinese e la lotta per la libertà» si legge nella pagina web. Siamo uniti dalla solidarietà e dalla musica e cogliamo l’occasione per evidenziare la cultura palestinese e la lotta per la libertà (FalestinVision)

Ad ogni modo c’è la musica e i ritmi serrati con cui verranno presentati i 18 brani della prima sera (per un totale di 30 complessivi), dalle 21 alle 23.20. In origine mettere insieme tante voci di paesi differenti sottintendeva la necessità di far risaltare sottogeneri musicali locali, popolari (fino al ‘99 ogni paese partecipante doveva presentare un brano cantato nella lingua nazionale), esprimendo le sonorità delle culture nazionali e delle tradizioni, mentre oggi i concorrenti si nutrono delle contaminazioni infinite tipiche della world music. Basta un ascolto veloce dei favoriti alla vittoria, come il croato Baby Lasagna che si danna l’anima in Rim Tim Tagi Dim, un misto di power metal, dance e trap, funzionale sicuramente alle prestazioni in radio.

PIÙ ELEGANTE e paradossalmente meno confuso è l’intreccio di lirica e rap dello svizzero Nemo con il brano The code. L’altro aspirante vincitore, l’olandese Joost Klein, all’Eurovision canterà quello che sembra il titolo perfetto per quel palco, Europapa, un brano dance che ci riporta direttamente agli anni ’90, senza riuscire a farceli minimamente rimpiangere. Insomma, malgrado la musica, l’artificio dopo sessant’anni ancora funziona.