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Sul Baltico con von Keyserling, mascherata nichilista in riva al mare

Sul Baltico con von Keyserling, mascherata nichilista in riva al mareMax Beckman, «Riva del mare», 1935

Speciale "Villeggiature d'antan" Datato 1911, «Onde» di Eduard von Keyserling, sembrerebbe dare un seguito all’impossibile storia d’amore di Tony Buddenbrook, restituendola al suo set originario e sottraendola al suo fascino struggente

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 23 agosto 2020

La villeggiatura balneare, benché sia oggi difficile immaginarlo, fu forse un tempo l’unica dimensione in cui fosse concesso alla nobiltà e alla borghesia tedesca di sperimentare un simulacro dell’antico carnevale. A opportuna distanza dalle ricche dimore di campagna o dalle opulente residenze cittadine e al cospetto di quella proteiforme e suggestiva manifestazione della natura che il mare, ancora, rappresentava, il patriziato mitteleuropeo conosceva per qualche tempo una sospensione della sua condizione abituale, si rimetteva all’esperienza dei guardiacoste e dei pescatori, abbandonava molti privilegi e si confondeva con tutto ciò che conservava pur sempre il volto scarsamente appetibile dell’alterità.

Nel confronto con la natura, semiaddomesticato dal ricovero in locande e appartamenti che mai, altrimenti, avrebbero avvicinato, gli Junker, i commercianti e gli alti ranghi della burocrazia tedesca andavano alla scoperta di tutto quanto gli usi, il decoro, la morale e altre mille filosofie precludevano loro per la maggior parte del tempo. La villeggiatura sospendeva lo spazio e il tempo, e il mare era la rappresentazione ideale di quel vuoto pieno di promesse. Chiunque abbia letto I Buddenbrook ricorda che una delle esperienze-chiave del romanzo, la scoperta dell’amore da parte di Tony Buddenbrook, avviene al cospetto del mare, sulla spiaggia di Travemünde, dove il mormorio «pigro e tranquillo» delle onde accompagna la sensazione di libertà che le dona la vicinanza del «plebeo» Morten Schwarzkopf.

«È strano – dice Tony subito dopo – come al mare sia impossibile annoiarsi, Morten. Se le capitasse in qualsiasi altro posto di rimanere steso sulla schiena per tre o quattro ore senza far niente, senza inseguire neppure un pensiero…». La noia, cifra più che emblematica della condizione esistenziale decadente, si capovolge dinanzi al mare in quella sensazione di pienezza indistinta che è lo struggimento per antonomasia di un’umanità afflitta dalla leggerezza e dalla vacuità delle proprie passioni. Non per nulla il romanzo «balneare» forse più bello della letteratura tedesca, Onde di Eduard von Keyserling, tradotto splendidamente ormai molti anni fa da Eva Banchelli ma ancor oggi troppo poco conosciuto, mette in scena una galleria di figure confuse, afflitte dall’incapacità di dare una forma ai loro desideri e ai loro sentimenti, unite unicamente dallo scenario naturale di una non nominata località del Baltico.

La natura provvede
La storia è quasi inesistente. Un gruppo di aristocratici trascorre le sue vacanze in un villaggio popolato principalmente di pescatori in cui si aggira anche una coppia assai discussa, quella formata dalla bellissima Doralice, la moglie separata di un ambasciatore, e del suo attuale marito, il pittore di origini contadine Hans Grill, con il quale è fuggita un anno prima. Scritto nel 1911 il romanzo sembra quasi dare un seguito all’impossibile storia d’amore di Tony Buddenbrook, restituendola alla sua ambientazione originaria e sottraendola al suo fascino struggente. Doralice, infatti, ha abbandonato il suo ambiente e ha sposato davvero, a differenza di Tony, il suo Hans. Ma la passione iniziale ha lasciato il posto a una serie di delusioni: il pacato paternalismo del pittore non accende il suo desiderio, l’aspirazione di Hans a una regolare e quantomai noiosa vita di coppia in una casetta a Monaco la rende insofferente e Hans stesso, ex pastore di pecore e pescatore per passione, sembra trascurarla un po’ troppo.

Così Doralice è tentata dalla corte di un sottufficiale, anche lui in licenza, che è a sua volta fidanzato con un’altra giovane di buona famiglia, Lolo. Fra pettegolezzi, slanci poetici e filosofici del pittore (che inanella una bella serie di luoghi comuni), pruriti erotici e trame assai poco limpide di un consigliere segreto gobbo di nome Knospelius, l’unico protagonista da prendere sul serio è il mare che, infatti, decide le sorti di tutti i personaggi. Ma le decide alla sua maniera: senza mai soddisfare le grandi ambizioni, le nostalgie idealistiche, le passioncelle estive o i desideri di dramma dei villeggianti. Questi ultimi sono tutti presi in una recita veramente carnevalesca: vuoi che si spoglino, nel vero e proprio senso della parola, dei loro abiti ordinari, vuoi che si rivestano di costumi stravaganti che dovrebbero dare espressione visibile ai loro stati d’animo (a un certo punto Doralice tira fuori da un armadio, stende sul letto e indossa tutti i vestiti della sua vecchia esistenza per poter ritrovare la sua passata interiorità), le figure in gioco sanno unicamente impersonare i loro ruoli in una sfilata di caratteri stereotipati a cui neppure sanno dare voce: l’apparenza esteriore li conferma di volta in volta nei loro sentimenti o, perlomeno, nei sentimenti che credono di possedere.

La generalessa pontifica, Doralice smania, l’ufficiale corteggia, la sua fidanzata si dispera e tenta il suicidio, Hans dipinge e pesca e Knospelius (il nome hoffmanniano che ricorda l’avvocato Coppelius dell’Uomo della sabbia è un’altra maschera) tesse la sua tela.

Tutto insomma seguirebbe la trama stereotipata di ogni commedia del tramonto di un’epoca – tema elettivo di Keyserling, per cui è giustamente ricordato – se la natura non decidesse di mettere fine alla rappresentazione. Dopo aver intrattenuto i protagonisti con i suoi quadri incantevoli e i suoi paesaggi evocativi, salva la vita alla giovane Lolo che ha tentato di affogare grazie alla collaborazione provvidenziale di una barca e affonda il battello con cui Hans ha sfidato una notte di burrasca per accompagnare uno dei pescatori del villaggio.

A questo punto la tragedia ha fatto irruzione nel romanzo con il suo inevitabile strascico di lutti, pianti e messe in suffragio dei defunti. L’estate volge al termine, il sottufficiale è partito, Doralice è rimasta sola e in preda ai ricordi e ai rimorsi, la spiaggia si è svuotata. Sarebbe lecito aspettarsi di veder calare sul dramma un lugubre sipario. Ma il carnevale non è ancora finito e dopo poco tempo Doralice comincia a dimenticare: «Si alzò, sedette e rifletté. Si era sentita e continuava a sentirsi bene; com’era possibile? Aveva il suo grande dolore, la sua disperazione. Dov’erano finiti? Li aveva perduti? No, questo no. Saltò in piedi impaurita e corse giù, al mare, per ritrovare tutta la sua sofferenza».
Incapace di veri sentimenti, Doralice sa solo interpretarli. Costretta ora a recitare il lutto l’aspirante femme fatale non incontra, però, la sofferenza, ma l’intrigante Knospelius che di punto in bianco le propone una sorta di matrimonio di consolazione a tempo e Doralice si acconcia alla bell’e meglio alla nuova situazione. Nel moderno carnevale balneare non è più l’anarchia, ma il cinismo a celebrare i suoi trionfi.

Una fine paradossale
In una prima versione dei Buddenbrook Thomas Mann aveva immaginato di chiudere la storia di Tony e del suo infelice amore con una frase straziante: «Di quel che accadde si è dato qui un racconto così ampio solo perché fu l’unica, proprio l’unica ora veramente felice che dalla culla fino alla tomba Dio concesse a quella creatura graziosa e dal buon cuore». Dieci anni dopo, Keyserling, cui Thomas Mann avrebbe reso grande onore celebrandone l’opera, cancella ogni apparenza di dolore dal suo racconto di amore e morte sul Baltico. La conclusione rapida e paradossale del suo racconto chiude con un gesto il secolo romantico e là dove il fine secolo aveva ancora cercato di afferrare lo sfuggente sogno di una gioiosa libertà dalla vita inscena la prima, grottesca mascherata del nichilismo occidentale.

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