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«Sui vaccini servono dati pubblici»

«Sui vaccini servono dati pubblici»Laboratorio BioNTech a Marburg, in Germania – Ap

Ricerca Appello del British Medical Journal alle aziende. La richiesta di trasparenza riguarda anche le agenzie regolatorie e i criteri con cui sono stati valutati e autorizzati i vaccini

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 20 gennaio 2022

Il British Medical Journal, una delle più prestigiose riviste scientifiche in campo medico, pubblica oggi un appello affinché siano resi pubblici i dati originali sui vaccini e sui farmaci anti-Covid raccolti nelle sperimentazioni cliniche. L’appello è firmato dal ricercatore Peter Doshi, dall’attuale direttore Kamran Abbasi e da Fiona Godlee, che ha occupato quel ruolo fino alla fine del 2021. Tutto ciò che sappiamo su vaccini e farmaci viene dalle pubblicazioni scientifiche finanziate dalle stesse aziende che li hanno prodotti. Ma i dati più interessanti, scrive il BMJ, sono quelli relativi agli studi randomizzati in cui un gruppo di volontari vaccinati viene confrontato con un gruppo non vaccinato che riceve un placebo, a cui i volontari sono assegnati su base casuale all’insaputa loro e degli stessi ricercatori (doppio cieco).

I risultati originali di questi test – i cosiddetti «dati grezzi» necessari affinché altri ricercatori svolgano analisi indipendenti – non sono a disposizione della comunità scientifica. Secondo quanto dichiarano le aziende, saranno forniti su richiesta e i tempi si annunciano lunghi. «Pfizer ha reso noto che risponderà a richieste di dati sulla sperimentazione del vaccino dopo il maggio 2025», scrive il BMJ. Moderna lo farà a partire da novembre 2022. AstraZeneca fa sapere che «la tempistica può variare a seconda della richiesta e può richiedere fino a un anno».

OLTRE CHE ALLE AZIENDE, il BMJ chiede trasparenza anche a chi dovrebbe controllarle. L’agenzia regolatoria statunitense Food and Drug Administration (Fda), ad esempio, ha a disposizione i dati grezzi sui vaccini, richiesti per ottenere l’autorizzazione al commercio. Su istanza dell’organizzazione Public Health and Medical Professionals for Transparency, una corte distrettuale statunitense pochi giorni fa ha ordinato alla Fda di rendere pubblici tutti i dati sul vaccino Pfizer (l’unico approvato in via definitiva). Si tratta di circa 329 mila pagine: come e quando lo farà? Altre agenzie, come l’europea Ema e la Health Canada, i dati originali dalle aziende non li ricevono nemmeno.

OLTRE AI NUMERI, c’è la questione delle valutazioni effettuate da Fda e Ema. «Le agenzie regolatorie e di sanità pubblica – spiegano Doshi, Abbasi e Godlee – dovrebbero rendere pubblico il motivo per cui nei test non si sia valutata la capacità dei vaccini di frenare il contagio del coronavirus (e non solo lo sviluppo dei sintomi, ndr). Se le agenzie avessero insistito su questo aspetto, i governi avrebbero appreso con tempestività degli effetti dei vaccini sulla trasmissione del virus e ne avrebbero tenuto conto nei loro piani». Ad esempio, non avrebbero puntato tutto sul green pass che dal punto di vista del controllo del contagio si è rivelato inefficace.

ANCHE SULLA REALE durata dell’immunità le agenzie regolatorie si sono dimostrate «distratte», come sostiene un’inchiesta del Fatto di pochi giorni fa sull’autorizzazione del vaccino Pfizer da parte dell’Ema. In realtà, più che di distrazione si è trattato di una resa agli interessi dell’azienda.

L’accertamento della durata dell’immunità da vaccinazione in studi randomizzati in doppio cieco, infatti, è stato più volte richiesto esplicitamente dall’Ema. «L’Ema raccomanda che i partecipanti ai test clinici siano seguiti per la sicurezza e l’efficacia nei gruppi randomizzati per almeno un anno dopo la vaccinazione», si legge ad esempio nelle linee guida consegnate alle aziende farmaceutiche.

Anche al momento dell’approvazione del vaccino Pfizer alla fine del 2020, nel rapporto di valutazione l’Ema scrive: «I dati sulla protezione a lungo termine sono attesi nella misura in cui lo studio clinico in corso continui come previsto, con un gruppo di controllo a cui viene somministrato un placebo». Una volta ottenuta l’autorizzazione provvisoria, tuttavia, la Pfizer ha vaccinato anche i partecipanti che avevano ricevuto il placebo, come l’azienda stessa ha riportato sul New England Journal of Medicine. In questo modo, lo studio randomizzato si è chiuso anzitempo. La Pfizer ha potuto fornire le informazioni sulla durata dei vaccini solo fino a sei mesi dopo la vaccinazione. Dal canto suo, l’Ema ha dovuto accettare la decisione e alla fine del 2021 ha rinnovato l’autorizzazione del vaccino.

LA SCELTA ERA INEVITABILE, perché affrontare senza il vaccino Pfizer questa fase della pandemia sarebbe stato impensabile. Ma la trasmissione parziale delle informazioni sull’immunità da parte della Pfizer ha penalizzato le strategie sanitarie. I governi europei hanno dovuto scoprire sulla pelle dei cittadini l’incapacità dei vaccini di frenare il contagio al di là di pochi mesi. Le campagne vaccinali sono state adattate in corsa, con nuovi ordinativi di vaccini a prezzi crescenti. E l’accaparramento delle dosi ha reso ancora più difficile l’accesso ai vaccini nei paesi poveri, in cui il rischio dello sviluppo di nuove varianti è sempre dietro l’angolo.

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