Sui felici pochi e gli infelici molti
Si legge l’affascinante saggio di Franco Marcoaldi negli Struzzi Einaudi I cani sciolti, sottotitolo comunità di solitari, con molto interesse ma anche con qualche perplessità, perché parla in qualche modo anche di tanti di noi, spesso nauseati dalla politica e dai suoi incensatori, e perché i cani sciolti di cui egli racconta, i più famosi e importanti, sono serviti da riferimento ed esempio per tanti di noi. In passato e oggi ancora. Qualche nome tra quelli citati e amati da Marcoaldi? Nella bandella si elencano Hemingway e la Woolf, Emerson e Thoreau e a proposito di questi due ultimi, formidabili rappresentanti del «rinascimento americano» di fine Ottocento, è bene ricordare Dickinson e tanti altri di tempi bui quanto i nostri. Il suo saggio è affascinante e riporta ad amare tanti personaggi (non solo «intellettuali», non solo poeti, narratori e filosofi) che hanno visto tempi brutti come il nostro, di attesa dei conflitti, di esplosione dei conflitti.
Penso per esempio agli anni trenta dello scorso secolo, tra due guerre mondiali e in mezzo a tante rivoluzioni, quando però, anche volendolo, per intellettuali e artisti fu impossibile non prendere parte, non essere toccati e poi travolti dalla storia. Ma più che tirarsi da parte, ché non era affatto facile farlo – con un comunismo trionfante in una parte del mondo però sotto Stalin, con un capitalismo americano risorgente dopo la grande crisi, con dispotismi orientali ben poco illuminati e in Europa con fascismo e nazismo in una sua gran parte e, per il resto, con democrazie fiacche e corrotte – ci fu chi scelse il suicidio, o quantomeno il silenzio. Per fortuna non siamo ancora a quel punto, anche se potrebbe accadere, anche se già stiamo vivendo un tempo di guerre dilaganti e che potrebbero colpirci, un altro tempo «tra due guerre mondiali» e perfino atomiche.
E’ davvero possibile vivere, solitari o in gruppo, da happy few lasciati in pace lontano dai conflitti e senza dover prendere una posizione attiva, almeno fino a quando la crisi non arriva? Ed è giusto tirarsi da parte?
Finché non ci tolgono la parola, dicevano i vecchi di un tempo, bisogna parlare, bisogna lottare. E scegliere di far parte di happy few tuttavia rispettati e magari pagati – via giornali, editoria, mezzi di comunicazione di massa eccetera – da chi invece prende parte perché è parte, e ai quali può perfino far comodo che tanti che sanno parlare e potrebbero dire qualcosa di utile a tutti se non altro sul fronte della «resistenza al male», preferiscano «parlar d’altro» e godere di una separatezza solo apparente.
Far parte degli happy few tuttavia con una funzione all’interno di questa società, che è oggi quella di intrattenere godendo tuttavia per questo di qualche privilegio, è una posizione comoda ma incerta, circondati come si è da masse di «infelici molti» e anche di compiacenti conformisti, «servi» privilegiati di un sistema che tuttavia porta al disastro. Qualche senso di colpa gli happy few che pensano di non avere nessuna, se pure indiretta, responsabilità nel vigente sistema di sfruttamenti e nelle politiche di governi bellicisti, qualche senso di colpa gli happy few che pensano di non averne nessuna, penso che dovrebbero pure averlo, in un periodo storico sovraccarico di minacce come è quello che stiamo vivendo.
Più che i felici pochi dovrebbero oggi interessarci gli infelici tanti al cui numero, volenti o nolenti, anche i felici pochi appartengono o apparterranno. E bisognerebbe parlare e pensare prima di tutto a come si potrebbe contribuire a tener lontani attivamente i fantasmi di morte che pesano sul nostro capo e su quello dei nostri figli… Cercando come essere attivi anche dall’interno di piccole minoranze. In tempi bui come quelli che attraversiamo, con un futuro che non sarà certo migliore di un presente in cui è ancora possibile far qualcosa per allontanare i due spettri della guerra e del disastro ecologico. Si tratta in sostanza di tornare a occuparsi attivamente e positivamente della polis; in altre parole: a occuparsi seriamente di politica, a far politica, da sinistra.
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