Suffragette, cent’anni di voti
Nel febbraio del 1918 il movimento di Emmeline Pankhurst apriva le urne nel Regno Unito anche alle donne. Aspettando il 4 marzo Il movimento suffragista si propagò velocemente nel mondo, soprattutto in quello anglosassone e in nord Europa. Nel gruppo delle suffragette inglesi raccoltesi intorno alla figura della leader storica Emmeline Pankhurst […]
Nel febbraio del 1918 il movimento di Emmeline Pankhurst apriva le urne nel Regno Unito anche alle donne. Aspettando il 4 marzo Il movimento suffragista si propagò velocemente nel mondo, soprattutto in quello anglosassone e in nord Europa. Nel gruppo delle suffragette inglesi raccoltesi intorno alla figura della leader storica Emmeline Pankhurst […]
Il movimento suffragista si propagò velocemente nel mondo, soprattutto in quello anglosassone e in nord Europa. Nel gruppo delle suffragette inglesi raccoltesi intorno alla figura della leader storica Emmeline Pankhurst spicca il nome di Ethel Smyth che nel 1910 aderisce all’organizzazione per il suffragio delle donne «Women’s Social and Political Union». La WSPU di lì a 8 anni, esattamente 100 anni fa, avrebbe portato le donne britanniche maggiori di 18 anni alle urne. La Smyth che aveva superato i cinquanta, era musicista e compositrice di rilievo negli anni in cui intraprende la sua militanza politica per il diritto di voto. Come le altre donne del movimento partecipa attivamente agli atti di disobbedienza civile. Nel 1912, raccolse l’appello di Emmeline Pankhurst a infrangere i vetri delle finestre delle case dei politici conservatori e insieme ad altre 100 attiviste membri del movimento fu arrestata. Fu così che la sua The March of the Women divenne l’inno del movimento: «Compagne, voi che avete osato per prime nella battaglia di sforzarvi e soffrire! Disprezzate, respinte, non ve ne importava, con gli occhi in alto verso un domani più grande. I modi che sono stanchi, i giorni che sono tristi, avete sopportato la fatica e il dolore per fede; salve, sarete vincitori, con indosso la corona che i coraggiosi hanno indossato! Vita e conflitto: due in uno, nulla si può vincere se non attraverso fede e audacia. Su, su, avete agito per preparare il lavoro di oggi. Fiduciose, ridete alla sfida. Ridi nella speranza, di sicuro è la fine. Marciate, marciate: tutti per uno. Spalla a spalla, amico con amico». Questi erano i versi finali dell’inno che Sir Thomas Beecham, compositore amico e sostenitore della Smyth, ascoltò quando andò a trovarla nella prigione di Holloway a Londra. Lì la donna scontava una pena detentiva di due mesi insieme alle altre compagne. «Sono arrivato nel cortile principale della prigione – raccontò Beecham – e ho visto la nobile compagnia di martiri che marciava cantando maliziosamente il loro inno di guerra (March of the Women) mentre Ethel, raggiante di approvazione dominava da una finestra e batteva il tempo in una frenesia quasi bacchica con uno spazzolino da denti».
PROPAGANDA
Negli anni venti troviamo sancito nero su bianco il diciannovesimo emendamento della Costituzione americana che recita che il diritto di voto dei cittadini degli Stati Uniti non può essere negato o disconosciuto dagli Stati Uniti o da uno degli Stati a motivo del sesso. In realtà il movimento per il diritto di voto alle donne in America risale ad un’epoca molto precedente, al 1647 ad opera di Margaret Brent. Da quel momento per i successivi 200 anni circa la protesta femminile fu un fenomeno carsico e a partire dal 1830 si saldò al movimento antiabolizionista e bisognò attendere la conclusione della battaglia contro la schiavitù dei neri per passare con più determinazione allo scontro sul tema del suffragio femminile.
Le suffragette, così la storia definisce le attiviste del movimento con una leggera connotazione derisoria secondo alcuni vocabolari, usavano diffondere le proprie idee attraverso comizi, scritte sui muri, pubblicistica minuta, cartelli con semplici slogan come Votes for Women o contenenti frasi inneggianti alla rivolta. Le attiviste avevano saputo utilizzare i moderni strumenti di comunicazione di massa per diffondere le loro idee e il sacrosanto principio del suffragio universale. Tra questi strumenti un posto di rilievo occupava l’inno di propaganda, quello che, come nel caso della marcia di Ethel Smyth, era capace di accendere gli animi e galvanizzarli. La cosa più interessante che emerge da queste composizioni è il racconto dei modi in cui si espresse uno dei movimenti più vitali del Novecento. L’attualità dei testi combinata con un melange di arie patriottiche e inni composti in uno stile tipicamente ottocentesco erano gli ingredienti principali di questi brani. Si trattava per lo più di adattamenti di testi originali su musica preesistente secondo una modalità tipica della musica di largo consumo nel periodo a cavallo tra i due secoli.
Tra i principali inni suffragisti americani troviamo Columbia’s Daughters scritta da Harriet H. Robinson sulla melodia di Hold the Fort, un inno gospel tra i più popolari della seconda metà dell’Ottocento. Il brano originale era stato composto nel 1870 e ispirato ad un avvenimento della guerra civile. Successivamente era passato nel repertorio evangelico come inno a dio e di lì parodiato in decine e decine di altre vesti non ultima quella suffragista con una chiara intenzione universalista: «Alza la bandiera, pianta lo stendardo, ondeggia il segnale ancora. Fratelli, dobbiamo condividere la vostra libertà, aiutateci, e ci riusciremo!».
Lo stesso procedimento di riutilizzo di musica già esistente viene usato per Uncle Sam’s Wedding del 1884 sulle note di Yankee Doodle, canzoncina patriottica famosa anch’essa negli anni della guerra civile e Keep Woman in her Sphere, in cui la sfera del titolo era la trasposizione in chiave ironica dell’ambiente domestico cui tutte le donne erano naturalmente destinate secondo l’opinione dei conservatori di quegli anni. Il brano era sicuramente il canto suffragista più conosciuto composto sulla musica di Auld Lang Syne, noto come il Valzer delle candele, celeberrima melodia utilizzata in America per salutare il nuovo anno.
MESSAGGI
Un altro tema caldo che fu accostato al suffragio femminile fu quello delle tasse. In The Taxation Tyranny le suffragiste espongono il motivo secondo il quale il diritto di voto sia un fatto logico e di giustizia sociale. Se le donne devono pagare le tasse esse hanno tutto il diritto di votare per scegliere chi le imporrà loro appellandosi allo slogan dei patrioti di Boston del 1773. In esso si sosteneva che riscuotere le tasse senza una rappresentazione politica fosse una tirannia dando così inizio alla guerra per l’indipendenza americana. «Perché le donne non dovrebbero votare? Anche lei è stata tassata proprio come un uomo. Il re Giorgio, tu ricordi, ci negò il voto ma ci spedì il tè. Noi senza fare domande, lo buttammo in mare».
Nel Booklet of Suffrage and Temperance Melodies (libretto di melodie sul suffragio e la temperanza) si trovano anche dialoghi musicali. In Winning the Vote del 1912, per esempio, si contrappongono un coro di ragazze e uno di ragazzi, nello spartito si suggerisce di accompagnare il canto con un’azione recitata per rendere il messaggio più efficace.
Le canzoni delle suffragiste nel mondo anglosassone e probabilmente in tutto l’occidente non ebbero un gran valore musicale, la loro importanza sta nell’aver diffuso il messaggio esplosivo contenuto nel testo. I canti delle suffragette conservano quella forza argomentativa e rivoluzionaria con la quale le attiviste stesse riuscirono a tenere testa all’insopportabile senso del ridicolo che a tutti i costi gli oppositori al suffragio femminile volevano affibbiare loro. Di quello spirito se ne ricordò Walt Disney quando in Mary Poppins (1964), pellicola raffinatamente femminista, piazza Sister Suffragette in bocca alla svampita Mrs. Banks lasciando che Duke Ellington e poi Louis Prima rieseguano a modo loro il brano dei fratelli Sherman che recita: «Non puoi arrestarci o maschio, son finiti i tempi tuoi. È un solo grido unanime: Femmine, a noi! Ben presto anche in politica seguire ci dovrai, se il voto ancor ci neghi, per te saranno guai! Siam pronte al peggio, anche a morire ormai. Chi per il voto muor, vissuto è assai. Femmine, a noi!».
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