Sud Sudan alla Coppa del Mondo
Basket Un risultato eccezionale, propiziato dalle magie del campione Luol Deng
Basket Un risultato eccezionale, propiziato dalle magie del campione Luol Deng
La vittoria per 83 a 75 contro il Senegal dello scorso febbraio ha segnato una pagina storica per il Sud Sudan e per il basket in generale. La nazionale del Paese più giovane al mondo – ha ottenuto l’indipendenza dal Sudan solo nel 2011 – si è infatti qualificata per la Coppa del Mondo, in programma nelle Filippine, in Indonesia e Giappone a partire da fine agosto.
Un miracolo sportivo, come si suol dire in questi casi, che poi così tanto miracolo non è, dal momento che il deus ex machina delle Stelle Luminose risponde al nome illustre di Loul Deng, ex all star della NBA, il campionato professionistico americano. Deng è la federazione di pallacanestro del Sud Sudan. Di fatto l’ha fondata e la porta avanti con compiti dirigenziali e tecnici. Non solo. Ha pagato di tasca sua le trasferte sostenute per il girone di qualificazione nei quattro angoli del continente africano, ma soprattutto ha convinto un manipolo di buoni giocatori a sposare la causa. Sì, perché praticamente nessuno dei giocatori del roster vive nel travagliato Paese africano, ma è stato convinto a «rendersi elegibile» in forza delle proprie origini. I nomi di spicco sono Numi Omot, ala dei Westchester Knicks, formazione di G League (campionato nato nel 2021 con le cosiddette seconde squadre NBA) e Peter Jok, che gioca in Francia e in passato ha calcato i parquet del campionato universitario a stelle e strisce. Buona parte degli altri esponenti delle Bright Stars provengono da un campionato in crescita come quello australiano. Ovvero il Paese dove tanti sud-sudanesi sono scappati anche prima dell’indipendenza
Da bambino Deng invece fuggì in Egitto dopo che il padre, parlamentare in Sudan, fu imprigionato in seguito a un colpo di stato. Fu lì che iniziò a giocare a pallacanestro e anche grazie alle sue doti poté trasferirsi con la famiglia prima nel Regno Unito e poi in Nord America, dove ha militato con grande successo per cinque franchigie NBA, compresi i Chicago Bulls e i Los Angeles Lakers.
In panchina nell’indimenticabile incontro con il Senegal c’era proprio lui perché il capo allenatore, Royal Ivey, è assistente ai Brooklyn Nets e non ha potuto lasciare la sua squadra, impegnata nella stagione regolare NBA.
In realtà per rimpolpare il manipolo di sud-sudanesi per i Mondiali ci sarebbero anche altri buoni giocatori impegnati nella NBA: JT Thor dei Charlotte Hornets, Wenyen Gabriel dei Los Angeles Lakers e soprattutto Bol Bol, nel 2022-23 agli Orlando Magic insieme all’italo-americano Paolo Banchero. Al momento in cui stiamo scrivendo quest’articolo non sappiamo se scenderanno in campo nei match del girone iniziale della competizione contro Cina, Porto Rico e la Serbia del fenomeno Nikola Jokic, ma di certo la presenza di Bol Bol sarebbe a dir poco significativa e ammantata di grande romanticismo sportivo. Bol Bol è il figlio di un personaggio mitologico, purtroppo venuto a mancare nel 2010: Manute Bol. Di etnia Dinka, famosa per le altezze vertiginose dei suoi appartenenti, Manute non faceva eccezione, anzi. Con i suoi 2 metri e 31 centimetri è stato il giocatore più alto della storia della NBA, dove ha giocato per 11 anni distribuendo stoppate (una volta quattro in una singola azione) e tirando tiri da tre stilisticamente «singolari» che lo hanno reso un personaggio di culto assoluto, conteso dalle aziende per un ruolo da testimonial e adorato dai fan.
Un gigante magro da far paura, fonte inesauribile di aneddoti – a 15 anni avrebbe ucciso un leone con una lancia per proteggere il gregge di famiglia – Bol è anche stato uno dei primi giocatori stranieri a lasciare un segno nella NBA, contribuendo a renderla fenomeno globale ed Eldorado commerciale. A fine carriera fece anche una rapida comparsata in Italia, disputando solo due partite con Forlì.
Peccato che il grande Manute non possa vedere il suo Sud Sudan cimentarsi in un grande torneo internazionale di basket. Qualunque sarà il risultato dei tre match del girone, sarà un raro momento di gioia e distrazione per un popolo tormentato, uscito nel 2020 da sette anni di una guerra civile che ha causato almeno 400mila vittime, con oltre 4 milioni di profughi su 10 milioni di abitanti.
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