Successo, una profezia che si autoavvera
Scaffale «La formula» di Albert-László Barabási, per Einaudi. Un fluido racconto dei progetti di ricerca sugli algoritmi predittivi
Scaffale «La formula» di Albert-László Barabási, per Einaudi. Un fluido racconto dei progetti di ricerca sugli algoritmi predittivi
Una università diventata in una manciata di anni un centro di eccellenza in un campo disciplinare che attira attenzione e conseguenti finanziamenti da parte di Pentagono, ministero della salute, nonché delle imprese che contano nel gotha dell’informatica statunitense. Docenti e ricercatori provenienti da tutto il mondo, con buona pace di chi, negli Usa, spaccia la droga mortale della retorica nazionalista e populista («prima gli americani»).
INFINE, UN FISICO, Albert-László Barabási, che si è applicato con efficacia a dare una veste organica a un settore certo emergente, ma molto multidisciplinare, fattore che nelle università statunitensi talvolta è visto come un handicap. Sua è la direzione del dipartimento sulla «scienza delle reti» alla Northestern University di Chicago, suoi sono i saggi Link e Lampi (entrambi pubblicati da Einaudi) che hanno puntato a spiegare il funzionamento di Internet, la rappresentazione dei flussi di informazioni e utenti da un sito all’altro, il motivo per cui è nella «natura» della Rete che si formino degli hub, cioè dei punti di passaggio obbligati dentro Internet, che hanno anche una funzione «organizzatrice». È questa la formula dell’omonimo ultimo suo libro (La formula, Einaudi, pp. 209, euro 26, traduzione di Simonetta Frediani).
Barabási è stato il fisico che ha meritoriamente smentito la leggenda di un web nato come artefatto, quasi per volontà divina e cresciuto senza nessun principio organizzativo. Internet è infatti il luogo e il manufatto più strutturalmente organizzato che sia stato finora immaginato dagli umani per apparire inorganizzabile e inorganizzato.
NON NASCONDE, questo fisico nato in Ungheria e fuggito da un regime autoritario e premiante la mediocrità, la convinzione che la «scienza delle reti» possa fornire non solo la spiegazione delle dinamiche evolutive del world wide web, ma anche supplire ai deficit analitici delle teorie dell’azione sociale, dei comportamenti economici (il dio mercato non è mai messo in discussione da Barabási), delle interdipendenze tra gli stati nazione. Dunque più che un campo disciplinare, lo studio della Rete può svolgere la funzione di «metascienza» di discipline del sapere diversificate e eterogenee. Da qui, la difesa di un approccio multidisciplinare, anche se sotto lo sguardo vigile e «severo» di una scienza dura come la fisica, per svelare l’arcano di temi, che certo sfuggono a una rappresentazione matematica, come il successo.
IL LIBRO prova a dare spiegazioni convincenti sul perché un artista abbia successo, sul perché un economista, un fisico, un matematico o uno scrittore vinca il Nobel. La scoperta inseguita è però lo sviluppo di una formula da applicare per prevedere il prossimo Nobel, il prossimo blockbuster cinematografico, la prossima saga di successo globale come sono state quelle di Harry Potter o Twilight. Barabási mette in pagina il racconto di progetti di ricerca sugli algoritmi predittivi che molto devono all’intelligenza artificiale e che funzionano come «laboratori» per applicazioni che hanno già un forte riflesso economico-produttivo (i sistemi esperti in medicina, la gestione del gioco in Borsa, i Big Data).
Quello che Barabási non scopre è la formula del successo, che rimane – l’autore lo dice, quasi annunciando la sua sconfitta – una profezia che si autoavvera. Si continua ad avere successo perché si è già avuto successo. Il merito, la fortuna, la competenza, il talento, il gioco di squadra sono le parole chiave delle «leggi» che Barabási introduce per quella che altro non è che una radiografia di un angusto senso comune, come l’autore d’altronde scrive.
Merito del libro è comporre una narrazione gradevole e avvincente di episodi di successo. Divertenti sono le storie di James Ellroy e di Joanne Rowling che hanno scritto romanzi con pseudonimi dopo l’ascesa dei loro libri, riuscendo a malapena ad avere una segnalazione su Amazon. Oppure del ruolo della vision artistica di Miles Davis quando ha raccolto un gruppo di musicisti per un disco.
Allo stesso tempo, Barabási è convincente quando introduce il fattore «contesto», l’ambiente nel quale si nasce e cresce aiuta – proprio come il talento e la caparbietà – a lavorare per la propria riuscita. E fama, c’è da aggiungere. La formula del successo, questa l’amara conclusione, non è stata dunque ancora scoperta.
ALTRO MERITO di Barabási è l’aver evidenziato come la predittività stessa sia l’oggetto del desiderio della scienza delle reti. Allo stato attuale, si può «ragionevolmente» prevedere il libro che si acquisterà in futuro. Con buona approssimazione, si può inoltre stabilire il prossimo Nobel dell’economia se i criteri rimangono le citazioni ricevute dall’economista dai suoi pari o il fatto che sia inserito in università e centri di ricerca «eccellenti», ma la predittività funziona solo se è applicata a terreni ampiamente già arati e indagati, come testimoniano i Big Data, organizzati e elaborati nel più stringente determinismo e secondo una logica normativa che riflette sempre i rapporti sociali dominanti.
La predittività, più che una formula da scoprire come per il successo, coincide con una pratica manipolatrice dei comportamenti individuali e collettivi. C’è infatti predittività in presenza di un intervento da parte di chi esercita il potere per modificare i comportamenti, in funzione di quanto è stato previsto. Usando le parole di Barabási, la predittività, come il successo, è una profezia che si autoavvera solo se c’è stata una invisibile mano a renderla possibile. Che non è il mercato, né il capitale umano supposto tale, né il capitale intellettuale, ma quell’elemento ben più materiale che sono i rapporti di potere. E i rapporti sociali. Ma questa è un’altra storia, che ha necessità ancora di qualcuno che ne metta a fuoco, collettivamente, la sua formula dominante.
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