Se non avessi fiducia nella possibilità di cambiare le cose mi dimetterei dal consiglio comunale. Miglioreremo la mobilità di Milano». Marco Mazzei è il consigliere comunale milanese «odiato» dalla destra per aver promosso l’ordine del giorno sulla «Città 30» e incalzato dal movimento dei ciclisti che non ha più fiducia negli assessori ma non l’ha ancora persa del tutto verso alcuni consiglieri. Mazzei è stato per anni un attivista delle due ruote prima di entrare in consiglio comunale con la Lista Civica del sindaco nel 2021. Nei prossimi giorni presenterà il Piano Bici della città di Milano che dovrebbe tracciare la via dei prossimi interventi per arginare la mattanza sulle strade milanesi. Sempre che sindaco, assessori e resto del centrosinistra siano d’accordo. Vedendo come sono andate le cose in questi 12 anni di governo milanese a trazione Pd i dubbi sono leciti.

Mazzei, la convivenza tra auto, camion e bici a Milano sembra fallita. Nel 2023 in sei mesi sono stati uccisi 5 ciclisti e 7 pedoni, 34 persone sono finite in codice rosso. Se non è un’emergenza questa…

Lo è. C’è un livello di aggressività in strada dopo il Covid esasperato. Il professor Bozzuto del Politecnico di Milano qualche settimana fa ha detto una frase che mi ha colpito: «Le strade da luogo del conflitto sociale sono diventate l’oggetto del conflitto sociale». In un certo senso potevamo aspettarcelo perché siamo cresciuti fino a ieri con strade costruite per le auto, ora quello spazio è sempre più richiesto da altri soggetti: ciclisti, skater, monopattinisti, pedoni. Lo spazio è limitato e tutti ne chiediamo un pezzetto.
Però questo «ieri» a cui fa riferimento a Milano è ormai lungo 12 anni di governo del centrosinistra. In tanti parlano di rivoluzione tradita per la bici.

Forse sì, ma forse per molto tempo quella promessa l’abbiamo immaginata declinabile con strumenti vecchi. Abbiamo immaginato che la rivoluzione della mobilità passasse dalla costruzione di piste ciclabili, di infrastrutture. Non è così?

Secondo me no. È stato un errore e un peccato d’ingenuità. Credo che la promessa tradita sia quella del cambio d’approccio alla strada. Smetterla di guardarla come il luogo delle auto e farla diventare anche il luogo di altri tipi di esperienze. Questa naturalmente è un’operazione più complessa rispetto al costruire infrastrutture. È un momento difficile perché stiamo gestendo una fase di passaggio tra generazioni abituate ad avere il 100% della strada per le auto e nuove generazioni che invece pretendono un altro uso della strada.
In decine di città europee le strade sono divise tra auto, bici e pedoni. Perché a Milano non dovrebbe essere così?
Anche io vedo Amsterdam, o soprattutto Copenaghen, ma se quello è il modello dobbiamo dirci che ci metteremo almeno 20 anni per arrivare a quel livello lì. Per le infrastrutture ci vorrà tantissimo tempo.

Dopo 12 anni di centrosinistra bisognerebbe iniziare. A Valencia , per esempio, in sette anni hanno ribaltato la città per ridisegnarla a misura di bici.

Non farei paragoni con altre città. Sicuramente le infrastrutture vanno fatte, ma alla luce anche di quello che ho visto da consigliere posso dire che a Milano ci metteremmo anni. Nel frattempo dobbiamo fare altri interventi urgenti a partire dalla riduzione della velocità delle automobili.

E quindi qual è la priorità?

Per me la «Città 30» resta la strada per un modello di città diversa, con una velocità meno novecentesca che guarda al futuro. C’è un percorso culturale molto grande da fare, dentro e fuori dall’amministrazione.

Il primo a non credere alla «Città 30» sembra il sindaco Sala, che ha frenato.

Le dichiarazioni del sindaco vanno sempre pesate e inserite in certi contesti. Ha delle perplessità perché non vuole rischiare di prendere decisioni che poi non si possono far rispettare. Una delle sue preoccupazioni è quella di dichiarare un limite di velocità e poi non avere strumenti per farlo rispettare. Io insisto che avviare un percorso culturale per andare più piano è fondamentale anche alla luce dell’aggressività in strada di cui parlavamo all’inizio.

Alfredo Drufuca, ingegnere dei trasporti milanese che ha lavorato alla Città 30 di Bologna, dice che facendo le proporzioni su Milano ci sarebbero 1.500 feriti in meno l’anno e che le resistenze a non fare la Città 30 sono politiche, non tecniche. Lo pensano in tanti e indicano il sindaco.

Ho delle perplessità. In questi due anni mi sono confrontato con diversi pezzi sia tecnici che politici dell’amministrazione e con vari gruppi d’interesse incrociati in decine di commissioni e non credo sia il sindaco a fare resistenza.

E chi frena allora? La città?

Metà palazzo e metà città. Ho partecipato a commissioni su ogni tema e quando si incrocia la questione mobilità le resistenze sono diffuse nella città e trasversali alla politica. Questo non deve toglierci la responsabilità del fare le cose, ma queste resistenze ci sono, anche nel centrosinistra.

E Sala si fa frenare in una situazione d’emergenza come questa?

Il sindaco si muove con prudenza, ma non è l’ostacolo. Non vuole prendere decisioni che poi non può far applicare. Da un certo punto di vista sarebbe più semplice se le resistenze fossero del sindaco, invece sono più diffuse e profonde, anche tra chi teoricamente è a favore della «Città 30».

Il modello Milano è la città-cantiere della crescita infinita. Forse non è possibile far convivere tutto: camion, cemento, costruzioni, auto, bici, velocità, lentezza, città delle merci e città delle persone.

Non sono a livello ideologico ostile alla città che cresce. Certamente c’è un tema sui mezzi pesanti, il superbonus ha fatto crescere i cantieri, l’e-commerce la logistica. Dopo l’obbligo dei sensori per l’angolo cieco bisognerà ragionare sulle limitazioni degli orari di circolazione.

Cosa dovrebbe esserci nel «Piano Bici»?

Case avanzate per rendere visibili i ciclisti e permettergli di partire prima dei mezzi a motore, interventi sulla segnaletica per le bici, limitazioni per le auto nelle strade più pericolose, sosta residenti a pagamento per chi ha due auto.