In un mondo dove otto miliardi di persone fanno i conti ogni giorno con trasformazioni sconvolgenti (guerre sempre più estese, disastri ambientali, innovazioni tecnologiche dagli esiti in potenza distruttivi…), ci si sente ridicoli a parlare dell’attuale subbuglio alla Royal Society of Literature, fondata nel 1820 da Giorgio IV d’Inghilterra per «premiare i meriti letterari e stimolare il talento». Ma pure questo è un segnale che «the times they are a-changing», come profetizzò sessant’anni fa (10 febbraio 1964) Bob Dylan, ancora non insignito del Nobel per la letteratura.
Riepilogando, ecco i fatti: alla fine del 2021 viene eletta presidente della veneranda istituzione Bernardine Evaristo, autrice di romanzi tra cui Ragazza, donna, altro (Sur 2020), amati da pubblico e critica, come rivela la chilometrica lista di premi su Wikipedia – seconda donna, dopo Marina Warner che l’aveva preceduta, e prima persona non bianca. Uno scossone, accentuato dal discorso di investitura, in cui Evaristo promette «un impegno attivo e urgente per includere la più ampia gamma di scrittori eccellenti provenienti da ogni area demografica e geografica della Gran Bretagna».

Dalle parole ai fatti, in pochi mesi le porte della Royal Society of Literature si aprono a un nutrito drappello di autrici e autori assai diversi fra loro, ma che nel complesso confermano – nota sul Guardian Ella Creamer – la volontà della Rsl di «dare un riconoscimento a scrittori provenienti da ambienti oggi sottorappresentati nella cultura letteraria britannica».
Ed Evaristo stessa commenta le nuove nomine, spiegando che l’associazione «aveva bisogno di cambiare» e di non accogliere più «solo autori tradizionalmente bianchi e borghesi».
Com’è facile intuire, il programma – pur encomiabile – è destinato a suscitare non troppo sotterranei malumori. Qualcuno se ne va: è il caso di Piers Paul Read, anziano storico e bestsellerista (la sua La vera storia dei templari, per Newton Compton, ha ben venduto anche qui), o di Miranda Seymour, popolare autrice di biografie, fra cui quella di Mary Shelley. Altri brontolano, ma a voce sempre più alta, tanto che Vanessa Thorpe sull’Observer di sabato scorso ha evocato una vera ribellione.

Ha infastidito molti, per esempio, il mancato sostegno della Rsl a Salman Rushdie dopo l’attentato di cui è stato vittima, forse per le sue critiche alle censure in nome del politically correct: «Mi dispiace che non lo abbiamo appoggiato di più, non avrebbe avuto nulla a che fare con le sue opinioni, o con l’ammirazione per la sua opera» dice l’ex presidente Marina Warner, narratrice e studiosa di miti. Ma infastidisce maggiormente il progetto di cambiare le norme di inclusione nella Rsl: finora erano presi in considerazione autori di almeno due libri che si fossero distinti per qualità, ma nel 2024 si deciderà se invitare il pubblico a esprimersi, affidando a giurie allargate il compito di valutare queste segnalazioni. Desolata Amanda Craig, scrittrice e giornalista: «Era un onore essere chiamati a far parte della Rsl, ma se ora entrano degli esordienti, non sarà la stessa cosa».

Tace però la regina Camilla, che ha sostituito la defunta suocera come patrona della Society a nome della monarchia. Eppure la sua opinione potrebbe essere sorprendente: appassionata lettrice (così si dice, almeno), ha fatto notizia in dicembre perché il suo book club, The Queen’s Reading Room, ha selezionato fra i libri del mese un thriller del 2007, The Lords’ Day, in cui la regina Elisabetta e l’allora principe Carlo sono tenuti in ostaggio da un gruppo di terroristi. Scelta bizzarra, che attesta – ha detto l’autore, Michael Dobbs, sorpreso e compiaciuto – «il grande sense of humour della regina».