Subalternità e ricerca, ricognizioni collettive discusse politicamente
Scaffale «L’accademia e il fuori. Il problema dell’intellettuale specializzato in Italia», un saggio edito da Orthotes. Tredici lavoratori, con condizioni contrattuali e di reddito differenziate, si sono chiesti cosa vuol dire essere oggi un intellettuale accademico nel rapporto con la società
Scaffale «L’accademia e il fuori. Il problema dell’intellettuale specializzato in Italia», un saggio edito da Orthotes. Tredici lavoratori, con condizioni contrattuali e di reddito differenziate, si sono chiesti cosa vuol dire essere oggi un intellettuale accademico nel rapporto con la società
Aria fresca, finestre spalancate, fiumi che scorrono. Sono queste le sensazioni che suscita la lettura e il confronto con L’accademia e il fuori. Il problema dell’intellettuale specializzato in Italia, libro coordinato da Vincenzo Mele, Fabio Mengali, Francesco Padovano e Alessia Tortolini e pubblicato nella collana di «Ecologia politica» dell’editrice Orthotes (pp. 268, euro 23). «Finalmente»: è l’avverbio che viene in mente fin dalla prima pagina.
Tredici «lavoratori accademici», con condizioni contrattuali e di reddito differenziate, in ampia parte precari e precarie, si sono chiesti – prima in un convegno tenuto presso l’Università di Pisa nel 2022 e poi con questo volume – cosa vuol dire essere oggi un intellettuale accademico nel rapporto con la società. E si sono posti questa domanda guardando al contesto italiano, in collegamento con le più generali trasformazioni intervenute nell’accademia internazionale, sapendo che «l’università è cambiata in quanto è cambiata la società».
IL TESTO È ORGANIZZATO in tre parti. La prima – «Distanza e vicinanza», con i contributi di Tiziana Faitini, Achille Zarlenga, Alessandro Fiorillo e Francesco Padovani – discute la figura dell’intellettuale contemporaneo in connessione con le analisi di Max Weber e Michel Foucault, la rilettura del percorso scientifico-militante di Franco Basaglia, la sterilizzazione accademica di Pier Paolo Pasolini e la riflessione sulle possibilità di intervento pubblico degli intellettuali.
La seconda parte – «Il dentro», con gli interventi di Fabio Mengali, Lorenzo Barbanera, Renata Leardi e Lorisfelice Magro – entra nel cuore dei rapporti e delle condizioni di lavoro nell’università italiana.
I temi affrontati illustrano un mondo pieno di ansia e precarietà, che ha fatto del merito un’ideologia di esclusione e disciplinamento, la quale pregiudica, con la tirannia della velocità e della quantità, la qualità della ricerca e i tempi di vita delle persone (studenti e studentesse compresi), ma anche il diritto allo studio e le relazioni tra chi lavora nell’università nell’ambito della ricerca – oltre che l’università stessa come istituzione – e il resto della società.
QUEST’ULTIMO TEMA è affrontato in modo ampio nella terza parte – «Fuori», elaborata con i contributi di Alessia Tortolini, Paola Imperatore e Federica Frazzetta e Daniele Lo Vetere – nella quale si mette in evidenza come sia possibile fare ricerca fuori dall’accademica, presentando il percorso intellettuale dello storico Angelo Del Boca, ma anche quanto questo sia difficile e abbia costi da pagare. Questi costi si registrano anche nei percorsi di chi cerca di costruire ponti tra dentro e fuori l’accademia, ponendosi la domanda se sia possibile un’altra università, e dentro e fuori la scuola, chiedendosi quale funzione ricoprano in prevalenza i docenti delle scuole secondarie (intellettuali subalterni, professionisti riflessivi o tecnici dell’educazione?).
Dunque, L’accademia e il fuori è un libro pieno di sfide culturali e politiche per chi lavora nelle università, nella scuola e, più complessivamente, nell’industria culturale e della formazione. Esso aiuta la riflessione – con l’ambizione che diventi collettiva – sul valore sociale di queste attività lavorative, contribuendo, tra l’altro, a ridurre il grado di isolamento che vivono tante persone precarie nelle università italiane.
Rendendo evidente che, al contrario, una presa di parola è possibile, così come è ancora possibile svolgere un lavoro intellettuale che miri, come indicato in un testo del 1971 di Franco Fortini, acuto studioso delle trasformazioni di questo tipo di lavoro, a «passare dal senso di un tempo non qualificato, che si contorce nell’attimo, a quello di un tempo sostenuto dalla solidarietà». Dunque, un tempo dotato di senso, non (s)travolto dalla macchina della performance.
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