Rubriche

Su venti parole e quattro storie inventate

I bambini ci parlano La rubrica settimanale a cura di Giuseppe Caliceti

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 22 giugno 2017

Vi ho letto quattro storie di questo libro che ho scritto, quattro storielle che ho inventato io. Mi sapete dire se avete trovato qualche somiglianza tra una storia e l’altra?

«Sì. C’erano delle somiglianze perché in tutte le storie c’era una principessa». «Anche il re, c’era sempre». «Con una storia la principessa trasformava tutte le cose che incontrava e che vedeva». «Con la bacchetta magica». «Però la bacchetta magica c’era anche nelle altre storie». «Sì, però le altre bacchette magiche non trasformavano le cose». «Anche il cane e il bambino c’erano in tutte le storie, mi pare». «Per me erano storie un po’ strane. Alcune belle, alcune… Non offenderti, maestro, ma erano un po’ brutte perché… Perché non succedeva niente… Cioè, succedevano delle cose ma erano sempre le stesse». «A me è piaciuta la storia che si intitolava Nel lontano regno di mongolfiera perché mi sembra che poi era una storia d’amore tra la principessa e l’astronauta». «Anche l’astronauta c’era in tutte le quattro storie che ci hai letto».

Bene, siete stati attenti. Avete capito che in ognuna delle quattro storielle che vi ho letto – e di cui vi ho mostrato le immagini – ci sono sempre le stesse parole. Ma non ci sono solo queste parole. Non ci sono solo le parole che avete detto. Ce ne sono venti. Sempre le stesse. Guardiamo se sapete dirmele tutte.

«Re. Principessa. Castello. Astronauta». «Il cane e il bambino sono due parole». «La mongolfiera». «La pera». «Il castello l’abbiamo già detto?». «Sì». «La matita c’era?» «No». «C’erano le rane e c’erano anche i pompieri. In tutte». «Anche la luna c’era in tutte e quattro». «Anche l’ippopotamo». «Forse c’era anche il lago. C’erano anche le nuvole. O no?» «Io le nuvole non me le ricordo. Neppure il lago». «In una c’era la principessa ladra». «Vabbè, ma è sempre lei, è sempre la principessa». «Ah, c’erano i fagioli, mi sembra!». «E’ vero, c’erano i fagioli!» «La luna». «Già detto». «Quante ne abbiamo indovinate, maestro?»

C’è chi ha detto che alcune storie erano meno belle di altre. Mi spiegate perché?

«L’ho detto io. Ho già detto, il perché. Perché succedevano sempre le stesse cose». «Ah, io lo so! Forse perché non c’era molto movimento». «Sì, perché erano sempre nello stesso posto». «Perché alcune erano strane. Per esempio quando c’era la pera che camminava». «A me piaceva quando erano tutti in fila davanti al circo e dopo dovevano fare il biglietto e il bigliettaio ha chiesto quanti biglietti doveva fare per farli entrare tutti al circo e tu ce lo hai chiesto. Perché era una storia dove bisognava contare. Mi è piaciuta perché a me, poi, piace anche contare e piace la matematica».

Mi dite perché erano storie, secondo voi? Mentre non erano solo un elenco di venti parole?

«Perché se era un elenco le parole erano staccate, qui invece erano attaccate». «Perché si mischiavano bene tra di loro». «Perché se prima c’era la principessa e dopo lei va nel castello, la parola principessa si lega alla parola castello e insomma, sono legate, prima una parola e poi l’altra parola. Invece, se non era una storia, le parole non erano legate tra loro, erano tutte slegate». «Per me erano delle storie perché erano fantastiche». «Per me erano delle storie perché c’era prima l’inizio e poi la fine».

E in mezzo?

«E in mezzo c’era un’altra cosa». «Per me erano delle storie perché succedevano delle cose». «Perché c’erano dei personaggi. Perché le parole che c’erano, poi, erano dei personaggi».

In questo libro ci sono otto storie dove ci sono sempre le stesse parole. Mi dite secondo voi con venti parole quante storie si possono inventare e come si fa a inventarle?

«Ci vuole la fantasia».»Cento». «Bisogna legare le parole una all’altra». «Sì, però mettendole in fila diverse. In ordine diverso». «Bisogna inventarsi delle avventure». «Si possono inventare anche mille storie, mi sa». «Per me se le combini tutte, le parole, ci sono storie sempre diverse». «Le inventiamo, maestro?»

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