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Su «True Detective» al femminile cala la notte del noir

Su «True Detective» al femminile cala la notte del noirJodie Foster e Kali Reis in «True Detective - Night Country»

Streaming «Night Country», la quarta stagione della serie Hbo, non convince. Non bastano i temi come quello degli indigeni in Alaska, troppi elementi senza organicità. Protagoniste Jodie Foster e Kali Reis

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 28 febbraio 2024

Sull’immaginaria cittadina di Ennis, sopra il circolo polare in Alaska, cala l’ultimo tramonto dell’anno e scende la notte artica destinata a durare più di due settimane. Ora il tempo, dilatato e ignoto, si misura in «giorni di notte». Nelle tenebre, l’ispettore Liz Danvers (Jodie Foster) e l’agente Evangeline Navarro (Kali Reis) indagano su di un inspiegabile plurimo omicidio che sembra sovrapporsi ad un cold case a cui sono entrambe legate. In passato le due avevano lavorato su un femminicidio rimasto irrisolto, che fu causa di rottura, ora le colleghe devono cercare di accantonare l’astio e rimettersi in squadra.

QUALE MIGLIORE premessa per un noir di sapore esistenziale come vuole essere True Detective – Night Country, la quarta iterazione di True Detective, anthology creata da Nic Pizzolatto nel 2014. Allora, la prima storia coniugò poliziesco con nichilismo e hinterland americano in un mix fortunato che sembrò reinventare il noir per il nuovo millennio, remixando gli elementi del genere in una narrazione atmosferica, fortemente radicata nella location e nel pessimismo dei personaggi: Matthew McConaughey e Woody Harrelson in uno scoop di casting.

Per Pizzolatto, italoamericano di New Orleans fresco del promettente esordio letterario Galveston, fu un successo che prese di sorpresa sia la Hbo che l’autore. Quando lo avevamo incontrato alla presentazione della seconda stagione subito commissionata dalla rete, aveva riconosciuto, dopo il divorzio creativo col regista Cary Fukunaga, la difficoltà nel tenere testa da solo ai ritmi spietati della produzione delle sceneggiature. Forse uno di motivi per cui la versione con Colin Farrell, Vince Vaughn e Rachel McAdams fu una delusione, solo parzialmente rimediata dalla terza serie, con Mahershala Ali, tornata alla formula di un poliziesco rurale (Arkansas), gravido di fantasmi del passato ed elementi sovrannaturali.

Dopo cinque anni, l’attuale serie mette al centro due interpreti femminili e dietro la cinepresa la regista messicana Issa Lopez che a novembre, a «Vanity Fair», aveva preannunciato «uno specchio dark della prima stagione. Invece di una trama di maschi e caldo torrido, una storia buia, fredda e femmina». Ecco quindi le lande gelate di cui sopra (al contempo suggestive ed inquietanti) e le due protagoniste – Jodie Foster da un volto scolpito ormai in icona, quasi come quello di Clint Eastwood, e l’amazzonica Reis, di origini capoverdiane e c’herokee, con alle spalle un unico film indie e due titoli mondiali di pugilato (pesi medi e welter). E il delitto che mette in moto la trama, liberamente ispirato ad un vero mistero irrisolto, la vicenda di escursionisti rinvenuti orrendamente ed inspiegabilmente mutilati negli Urali russi dopo una tempesta di neve negli anni ’50.

Ennis, intanto, minuscolo agglomerato working-class di case strette attorno ad un impianto petrolifero e nella vicinanza di una istallazione scientifica, si rivela densa di verità non dette e conti lasciati in sospeso – a cominciare da quelli fra le due protagoniste, personaggi complicati e contraddittori con fardelli emotivi e sfumature che fino a poco fa sarebbero stati appannaggio dei protagonisti maschili. Gli uomini invece qui sono poco più che comprimari, oggetti di antagonismo, e a volte desiderio, anche se l’umore prevalente è senz’altro il rammarico e la disillusione.

I SENTIMENTI non sono purtroppo limitati ai personaggi, perché la storia non riesce ad essere all’altezza delle proprie ambizioni e della tanta carne messa al fuoco. L’universo logico del procedural continua a scontrarsi con il denso retroterra emotivo dei personaggi e con le suggestioni sovrannaturali, senza trovare punti di incontro organici. Se l’intenzione è quella di una narrativa stratificata questo Night Country sembra non averne il tempo materiale (certo non sembrano bastare questi sei stringati episodi, al posto dei soliti otto) ed i diversi elementi rimangono come singoli frammenti in un calderone che non mantiene le troppe promesse.

Peccato, soprattutto perché un talento della levatura di Jodie Foster meriterebbe più della misantropia monocorde e delle battute abbaiate alla partner/nemesi. All’inizio di una maturità che promette di regalare ancora grandi ruoli, l’attrice dimostra assai meglio il suo potenziale nell’interpretazione non protagonista in Nayad, per cui è candidata all’Oscar. Peccato anche perché si intuisce che Issa López, autrice di questa serie, avrebbe ben altre potenzialità in questo stesso registro (quelle mostrate ad esempio nel suo horror magico-neorelista del 2017, Tigers are not afraid). Speriamo che abbia modo di esplicitarle nelle prossime collaborazioni a cui si dice stia lavorando nientemeno che con Guillermo Del Toro, Noah Hawley (Fargo) e il padrino del neo-horror, Jason Blum.

QUANTO a Night Country dimostra che le interpretazioni e la conduzione artistica femminile non bastano, in assenza di un lavoro di scrittura all’altezza, di certo post Fleabag e post Killing Eve, e lo stesso dicasi per il tema identitario. Qui quello della popolazione Iñupiaq alle prese con le istituzioni dei bianchi è arbitrariamente spalmato nella trama in modo francamente poco lusinghiero al confronto, ad esempio, di un Reservation Dogs che ha mostrato la destrezza artistica e poetica con cui può essere trattato l’argomento.

Alla fine, questo True Detective si perde, un po’ come Lost, appunto, appesantito da una slavina di improbabilità, proverbi indigeni e laboratori segreti scavati nei ghiacciai – un hard boiled misto a high tech, che perde il filo nella tormenta di neve. E da spettatori si finisce malgrado tutto per capire Pizzolatto, che come noto, ha (poco galantemente) aspramente criticato l’operato dei suoi successori.

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