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Strutture geodetiche dell’architetto in soffitta

Strutture geodetiche dell’architetto in soffitta

Stefano Caratene Gli anni di architettura a Valle Giulia

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 5 ottobre 2019

Io lo conoscevo bene come studente universitario nella facoltà di architettura a Valle Giulia in Roma.
Erano gli anni Sessanta e Roma era una città piena di occasioni culturali, un centro storico bellissimo e ricco di palazzi che aggiungevano alla storica bellezza il sapore affascinante della nobile decadenza.
Vi viveva un popolo di artisti, di intellettuali, di nobili attoniti e di gente di cinema.
A Caratene mi univa l’interesse per la cultura che questa città emanava e la posssibilità di distinguersi dal panorama di omolagazione intellettuale tipica degli studenti e professori di architettura di allora: un misto di accademia interno alle problematiche del sapere architettonico e di una coraggiosa avanguardia legata alle dinamiche della lotta alla speculazione edilizia e soprattutto alle diseguaglianze sociali.

Ci siamo trovati subito d’accordo nel crititicare il perimetro che ci limitava e che non poneva l’accento sulla bellezza e con grande ambizione abbiamo formato il gruppo «Carabra» sintesi dei nostri cognomi Carotenuto, diventato subito Caratene, e il mio Braschi. L’occasione per manifestare la nostra diversità fu la redazione di una tesi per l’esame di Storia e stili nel corso tenuto dall’allora giovane professore Paolo Portoghesi. Avevamo scelto come oggetto della tesi l’analisi critica e storica di un edificio destinato ad uffici nel porto di Amburgo, il Chilehaus costruito nel 1922 su progetto dall’architetto Fritz Hoeger.

Il rivestimento delle facciate in klinker lucido blu scuro e la forma dei cornicioni e dei terrazzi davano all’edificio l’aspetto della prua di una nave in porto, indirizzata a sfidare onde oceaniche, simbolo forte della vocazione commerciale della città di Amburgo. Recentemente ho visto un filmato degli interni del Chilehaus dove lucide pareti incorniciano bassorilievi in terracotta somiglianti proprio ai personaggi dei quadri e disegni di Caratene.
Ci conquistarono i toni appassionati celebrativi dell’architettura espressionista.
Ci piacque l’estetica dell’edificio e fummo attratti della critica appassionata di un professore di arte tedesca del Novembergruppe raccolto a Weimar da Bruno Taut.

Naturalmente la nostra posizione non piacque a Paolo Portoghesi soprattutto per il nostro entusiasmo esagerato e per il giudizio estetico non inquadrato nelle caselle d’epoca dell’architettura moderna. Questo rifiuto e anche il risultato non esaltante dell’esame ci rafforzò enormemente nella nostra posizione critica: altra occasione fu l’entusiasmo per le forme del gruppo Archigram architetti d’avanguardia inglesi tesi a una spazialità nuova delle strutture tridimensionali in acciaio e vetro.

Andando a casa di Caratene a via dei Cappellari, dopo la sua morte, ho trovato un suo oggetto fatto di stuzzicadenti uniti da una puntina di Uhu dalle forme tridimensionali molto audaci e libere che mi hanno ricordato la sua passione per la progettazione di forme architettoniche dalla volumetria completamente avulsa dalle regole tradizionali.
Il modo di vivere di Stefano è stato differente dal mio ma ho continuato a frequentarlo in questi ultimi anni dal 2000 in poi. Un nostro appuntamento abituale era la mattina a Campo de’ Fiori. Abitavamo vicini io uscivo di casa per andare a lavorare con il motorino negli uffici, negli studi di architettura, lui andava a piedi a Villa Doria Pamphili dove trovava il suo ambiente per pensare e disegnare: quasi sempre nel salutarlo ho provato un malcelato senso d’invidia.
Nei nostri incontri la discussione era spesso animata dalla passione per lo sport del ciclismo professionistico. Stilema comune era la nostra previsione di considerare drogati tutti i campioni che stravincevano, era una intuizione che poi divenne un presagio, confermato dalla realtà.
Il mio compito di ricordare Caratene perchè era bravo a disegnare e a dipingere, perchè scriveva belle poesie, perchè era bravo a suonare o perchè è ai più sconosciuto, non può essere essere solo il racconto di qualche episodio vissuto insieme.
Poichè la sua esperienza di vita è esemplare di una epoca, e la poetica delle sue opere alla luce di una rilettura odierna è una occasione unica per la riflessione critica della mia vita e di tante altre simili esistenze.

Gianfranco Fiore ricorda Stefano Caratene, qui

Foglie d’erba psichedeliche, Matteo Guarnaccia commenta la sua attività artistica, qui

Per gli amici Caratene, di Paolo Paci, qui

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