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Struth che predilige situazioni

Struth che predilige situazioniThomas Struth, «Wangfujiing Dong», Shangai, 1997

Allo Haus der Kunst di Monaco «Figure Ground» di Thomas Struth L’intero percorso di un maestro nato minimalista a metà anni settanta, interprete a-psicologico della realtà

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 24 settembre 2017
Daniele CapraMONACO DI BAVIERA

Una retrospettiva significativa, e intelligentemente analitico-didattica, quella che la Haus der Kunst a Monaco di Baviera dedica a Thomas Struth, uno dei fotografi tedeschi internazionalmente più apprezzati. Figure Ground, fino al 7 gennaio, è un’occasione per prendere in esame le aree tematiche di una ricerca di ormai quarant’anni, in cui il fotografo ha elaborato una speciale sensibilità nei confronti del soggetto, sia esso umano, architettonico o naturale.
La mostra – corredata da uno splendido catalogo in grande formato edito da Schirmer/Mosel, con testi di Thomas Weski, Jana Maria Hartmann, Ulrich Wilmes e Okwui Enwezor – apre con le foto di città in bianco e nero realizzate a fine anni settanta, quando Struth era ancora studente. All’Accademia di Düsseldorf – una delle fucine di talenti sin dai tempi in cui Beuys aveva cominciato a tenervi le proprie lezioni – Struth frequenta il corso di pittura e incontra come professore Gerhard Richter. I rapporti con Richter sono problematici, come Struth ricorda nell’intervista in catalogo, ma lì scopre che il suo vero mondo espressivo è altrove. Proprio Richter, infatti, lo indirizza ai corsi di Bernd Becher, il quale, con la moglie Hilla, è uno dei pionieri della fotografia concettuale, con una enorme ricerca condotta sulle tipologie di case ed edifici industriali sin dagli anni cinquanta, e in rigoroso bianco e nero.
In quel periodo, Struth inizia a frequentare i Becher e il mondo dell’arte minimalista e concettuale americane, spesso rappresentate nelle gallerie di Düsseldorf. Proprio quegli incontri gli consentiranno «di liberarsi dalle grandi ragioni emotive personali del fare arte», concentrandosi sulla forma e, in primo luogo, sulla scelta e «sullo studio del soggetto», che da quel momento sarà da lui ripreso impiegando quasi esclusivamente la fotocamera in grande formato. La sala centrale della mostra, organizzata come un archivio, ripercorre proprio questo passaggio degli anni ottanta, una fase di elaborazione che porteranno Struth a definire metodi, approcci, e a consolidare la propria capacità di lettura della realtà. Prove di stampa, manifesti, cartoline, disegni, lettere, agende e diari sono affiancati da immagini di cantieri, da dettagli di componenti meccanici e di laboratori di fisica sperimentale, da foto scattate nell’area industriale della Ruhr o prese durante i viaggi, spesso in Italia, dove lo interessano in particolare i complessi e stratificati conglomerati abitativi di Roma e Napoli.
In questo sviluppo assumono particolare rilievo la realizzazione dei primi libri fotografici in bianco e nero – il libro rimane tutt’ora uno strumento fondamentale, e non solo per Struth, per sviluppare narrazioni o proporre analisi visive complesse – e la sua partecipazione alla seconda edizione dello Skulptur Projekte di Münster nel 1987, per il quale propone una proiezione notturna delle immagini da lui scattate nella città tedesca.
Negli anni novanta Struth si dedica a progetti eterogenei, che spaziano dalla documentazione degli incontri tenuti tra amici artisti settimanalmente, i «Monday Groups», per discutere di questioni politiche (gli anni novanta sono gli anni dell’unificazione tedesca e della prima Guerra del Golfo, ripresa dai mass media in diretta), ai ritratti di famiglia e alla celebre serie sui musei.
Nelle foto realizzate nei più celebri musei del mondo Struth ritrae i visitatori in (e)stasi di fronte alle opere. Sono momenti di stupore, meraviglia e talvolta di puro spleen da overdose visiva, in cui egli sviscera, e talvolta fa deflagrare, la relazione tra ruolo istituzionale del museo e vite individuali, fatte anche di cose semplici, oggetti normali e perfino banali.
Colpisce che, anche nei lavori successivi come quello realizzato in più anni in Cisgiordania ed Israele, o quello di paesaggio commissionato per le camere dei malati terminali di un ospedale di Zurigo, le sue immagini siano alternativamente senza alcuna figura umana o affollatissime. È una scelta poetica, che esclude il rapporto uno a uno autore/persona e la costruzione di un legame psicologico diretto con il soggetto. Struth infatti è fotografo puro, che scarta la relazione immediata, ritraendo non persone ma situazioni, nelle quali è l’immagine stessa a essere soggetto. È la realtà, senza artifici demiurgici, a manifestarsi, incarnarsi e fissarsi di fronte a lui e a noi per la posterità.

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