Il puro piacere di maneggiare la materia, tra giocosità e maniacalità, per trasformare oggetti del quotidiano in opere d’arte è alla base del linguaggio artistico di Stefano Arienti (Asola, Mantova 1961, vive e lavora a Milano) fin dai suoi esordi, a metà degli anni ’80.

«Mentre gli artisti maschi della Transavanguardia urlavano, lui procedeva senza protervia, silenziosamente. Studiava virologia vegetale alla facoltà di agraria e faceva i suoi primi lavori», afferma Fabio Cavallucci, curatore della mostra Altana (fino al 31 gennaio).

Pacchetti, Ondine, galleria Claudio Poleschi Arte Contemporanea San Marino (ph Manuela De Leonardis)

REALIZZATA nell’ambito di «SM-Art. Sensibilità artistiche dagli anni Novanta» (progetto nato da un’idea di Claudio Poleschi e dedicato alla sua memoria), l’esposizione si sviluppa in quattro diversi spazi nella Repubblica di San Marino, attento scenario fin dagli anni ’50 delle tendenze artistiche con l’organizzazione della Biennale di arte contemporanea: l’antica cisterna del Palazzo Pubblico (solitamente inaccessibile), la Galleria nazionale, l’ex galleria ferroviaria Il Montale e la galleria Claudio Poleschi Arte Contemporanea.

Luoghi dalla forte identità che ospitano una selezione delle opere di Arienti attraversando cronologicamente il suo percorso professionale.

Si parte dagli iconici poster con le virgole di pongo colorato che citano maestri del passato come Monet e Van Gogh, fino alle più recenti «stropicciature» e «traforature» su carta e in marmo e al site specific Gocce (con migliaia di barattolini di vetro che tracciano la geografia dell’Europa) o le installazioni Viste e Castello.

Stefano Arienti, «Castello», 2022 (installazione nell’ex galleria ferroviaria Il Montale di San Marino), foto di Manuela De Leonardis

IN MEZZO, ci sono i collage di carta stampata e gli oggetti di carta piegata (pagine di Topolino, orari dei treni, pagine di libri scientifici) della serie Turbina (1986), Pacchetti-Ondine (1987) e Nuvole fumetti (1989). «Le immagini sono anche organismi che hanno una vita autonoma rispetto a noi autori perché interagiscono con le persone. Non voglio essere il padre padrone dell’opera, la accompagno nel mondo», spiega l’artista.

IMPROVVISAZIONE e sorpresa sono aspetti irrinunciabili nell’approccio di Arienti, così come la metodicità nella costruzione del processo creativo: il virtuosismo trova la giusta calibratura nel rapportarsi a una dimensione concettuale. Quanto al riferimento ai diversi protagonisti della storia dell’arte, fonte d’ispirazione ricorrente (come del resto la natura spesso in relazione con la nostra quotidianità) – dagli Impressionisti a Utagawa Konyoshi fino a Joseph Beuys – «non sono lì perché ci sia un rapporto necessariamente ossequioso. Se la loro arte è viva è perché abbiamo piacere di stare in loro compagnia».

La citazione a Beuys è dichiarata proprio nell’opera permanente Castello, realizzata in un tratto della galleria ferroviaria in disuso, in forma di catasta con le pietre di arenaria (le stesse usate per la pavimentazione di San Marino), alternate a volumi stampati e con tracce di miele e strutto.

«È una biblioteca che non è lì per noi ma per un altro tempo, quello della natura. I libri, rimanendo all’aperto, perderanno le loro caratteristiche per trasformarsi in altro. Pietre e libri sono materiali inerti, per questo sulla sommità della catasta, negli interstizi, ho posato del materiale vivo: il miele e lo strutto».