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Stravinskij, espressivismo musicale sotto il gesto dello zar Igor

Nikolaj Rerich, disegno di scena per «La sagra della primavera» di Stravinskij, 1913Nikolaj Rerich, disegno di scena per «La sagra della primavera» di Stravinskij, 1913

Grandi musicisti russi Una delle più avventurose parabole della creatività artistica di ogni tempo, ripercorsa da Massimiliano Locanto e Gianfranco Vinay in «Musica al presente», con nuovi documenti e scritti inediti in Italia: dal Saggiatore

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 14 luglio 2024

Ecco un libro, Musica al presente Su Stravinskij (Il Saggiatore, pp. 504, € 28,00) che pur formato in maggioranza di saggi già apparsi in varie occasioni, fa il punto in modo unitario e originale sul dominio che lo «czar Igor» ha esercitato sul mondo della musica moderna. I due autori, Massimiliano Locanto e Gianfranco Vinay, firmano insieme una Prefazione intitolata «Un compositore del presente, un compositore sorprendente», titolo che nella prima parte fa eco a famose parole di Stravinskij stesso («Io non vivo nel passato e neppure nell’avvenire. Sono nel presente. Ignoro cosa sia il domani»), mentre nella seconda adombra una delle più avventurose parabole della creatività artistica di ogni tempo: in effetti Stravinskij ha sempre sorpreso il suo pubblico, che magari lo aspettava prevenuto alla sua prossima opera, mentre lui aveva già scantonato in un’altra direzione.

Le molte sorprese
Uscito dalla cerchia di Rimskij-Korsakov, il giovane Stravinskij si identifica con i Balletti Russi di Diaghilev nei suoi primi capolavori, L’uccello di fuoco, Petruška, La sagra della primavera. Dopo la pienezza e la magìa sinfonica di queste partiture, si poteva intuire la svolta verso l’asciutto Settecento italiano, da Pulcinella alla Carriera di un libertino; ma chi poteva prevedere l’amore per Chajkovskij, che lasciò tutti a bocca aperta, e poi il suo risalire all’indietro nella storia della musica verso il contrappunto dei fiamminghi e Gesualdo da Venosa.

E infine, quando il suo neoclassicismo era ormai divulgato, ultima sorpresa con l’avvicinarsi alla tecnica seriale dei viennesi moderni, Schönberg, Berg e sopra tutto Webern. Locanto e Vinay hanno ordinato la vastità della materia (il libro sfiora le 500 pagine) in due sezioni: la prima è dedicata al linguaggio musicale stravinskiano e ai suoi fattori «riconoscibili», in particolare facendo leva sul concetto espressivo di gesto, sulla interazione fra corpo e pensiero musicale, sull’importanza della danza nell’inventiva dell’opera stravinskiana; la seconda, «Stravinskij e gli altri», considera i rapporti con gli altri musicisti che si riflettono nel suo specchio deformante, gli scrittori e i critici che hanno tenuto dietro alla sua parabola.
La documentazione qui è vastissima e in gran parte nuova, resa possibile dall’apertura degli archivi nell’ex Unione Sovietica e dalla disponibilità della Fondazione Sacher di Basilea, che custodisce molte carte stravinskiane.

Sulla scorta degli scritti del musicologo russo-americano Richard Taruskin molte convinzioni hanno cambiato faccia, come l’inscindibile unione di cosmopolitismo e russicità in Stravinskij, un tempo considerati come poli opposti; ancora più lontana suona la contrapposizione fra «Schönberg e il progresso» e «Stravinskij e la Restaurazione», fondata da Adorno nel famoso saggio Filosofia della musica moderna (qui riconsiderata tuttavia in nuova luce).

Senza poter rendere conto di tutta la materia messa in discussione dal volume, con evidente parzialità scegliamo, fra i punti più interessanti, i rapporti fra Stravinskij e la critica musicale (fra l’altro, il libro si chiude con una selezione di scritti di Stravinskij mai pubblicati in Italia, tratti dagli ultimi volumi curati da Robert Craft nel 1963-1969).

La diffidenza di Stravinskij, se non l’avversione, verso la critica musicale è ben nota. «In realtà», scrive Locanto, «dietro una simile facciata di indifferenza e sprezzo si celava una forte apprensione. I giudizi sulla sua musica diffusi dai mezzi di comunicazione di massa preoccuparono sempre Stravinskij»: a differenza dei compositori di second’ordine, leggeva i giudizi su di sé e conservava in appositi faldoni le recensioni; non solo, ma Locanto parla anche di strategie autopromozionali, dovute anche alla sua condizione di artista russo «emigrato due volte, dapprima in Svizzera e Francia e poi negli Stati Uniti. (…) Dovette così trovare un modo non solo per promuovere la sua musica, ma anche per trovare una sua collocazione in un ambiente che avrebbe potuto rivelarsi ‘ostile’».

A proposito di ostilità tuttavia, nessuna supera la demolizione della Sagra della primavera fatta da un critico russo, Leonid Sabaneev, quello stesso che pubblicò sul Cavaliere Azzurro di Kandinskij e Marc del 1912 un esteso articolo sul Prometeo di Skrjabin (autore che Stravinskij ha sempre detestato). Come spesso accade, la detrazione può contenere, cambiando il segno, spunti di acuta intuizione: «Nella sua musica questo giovane compositore è controllato come un banchiere. (…) Ogni cosa è frutto di uno sforzo mentale, di adeguati e accurati calcoli e costruzioni»: come spiegare meglio l’oggettivismo stravinskiano? E l’assenza di «qualsivoglia psicologia» nella sua musica?

Imprescindibile presenza
Del massimo interesse è pure quanto riferisce Vinay sull’episodio della Sagra inserito in Fantasia di Walt Disney (1940): in origine (1913) Stravinskij non era affatto contrario a interpretazioni narrative e descrittive dell’opera, testimoniandolo anche in un articolo (poi ripudiato) sulla rivista «Montjoie!»: «Nel Preludio ho voluto esprimere il timor panico della natura per il sorgere della bellezza, un terrore sacro davanti al sole di mezzogiorno». Solo dopo il riscatto del Sacre in versione da concerto, e poi sempre di più negli anni Venti, incomincia la critica al balletto rituale di Nijinskij e la negazione di ogni espressività della musica.

Il libro è una clamorosa conferma della presenza di Stravinskij, dalla morte nel 1971 ad oggi, in tutti gli aspetti del pensiero musicale; solo sull’affermazione che le sue composizioni non abbiano mai accennato a retrocedere dalle sale concertistiche, si può nutrire qualche dubbio: almeno in Italia, oltre la centesima esecuzione dei tre grandi balletti, si presenta e si ascolta assai poco. Perfino Les noces e Mavra sono diventate rare, e più ancora Perséphone, Il diluvio, Agon, l’Ottetto, per non dire del Canticum sacrum e altre opere tarde. È augurabile che questo libro possa a dare più coraggio alle nostre Società di concerti nel rivolgersi a un catalogo tutto da esplorare.

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