Stranglers, anomalia punk
Book Note Il giornalista e scrittore Stefano Gilardino in The Stranglers. Uomini in nero, edito da Tsunami, ci porta al cospetto della travagliata carriera degli Stranglers, uno dei gruppi più innovativi e […]
Book Note Il giornalista e scrittore Stefano Gilardino in The Stranglers. Uomini in nero, edito da Tsunami, ci porta al cospetto della travagliata carriera degli Stranglers, uno dei gruppi più innovativi e […]
Il giornalista e scrittore Stefano Gilardino in The Stranglers. Uomini in nero, edito da Tsunami, ci porta al cospetto della travagliata carriera degli Stranglers, uno dei gruppi più innovativi e personali nella storia del rock inglese, raccontata e sviscerata in mille particolari e gustosi aneddoti, con discografia commentata, spezzoni di interviste, fotografie. I quattro Meninblack (dal titolo di uno dei loro migliori album) sono stati un’anomalia all’interno dell’iconoclastia punk. Duri e sfacciati, mai allineati, con testi sfrontatamente misogini, tematiche «complottiste», ma anche prese di posizioni politiche ben definite e, come sempre, dirette e senza compromessi e mediazioni, suoni che mischiavano punk, tastiere che guardavamo ai Doors, ritmiche spezzate, tentazioni addirittura prog . Nel tempo hanno mutato ripetutamente pelle, passando da un approccio violento e aggressivo con dischi diventati storici e ormai classici come Rattus Norvegicus e No More Heroes, del 1977, ad atmosfere decadenti, elettroniche, felpate, tossiche, in piccoli capolavori come La Folie e Feline poco tempo dopo. Nel 1990 uno dei fondatori e compositori, il chitarrista e cantante Hugh Cornwell, lascia definitivamente la band che, attraverso mille cambiamenti di formazione, prosegue imperterrita, mai più all’altezza degli esordi. Lasciano, in questa prima parte di carriera, episodi controversi e violenti, arresti, dipendenza da eroina (il loro brano di maggiore successo è Golden Brown, sorta di inno agli effetti della sostanza, che, nell’inconsapevolezza generale, arriva ai primi posti delle classifiche), un odio (reciproco) inveterato da parte della stampa, una fama ambigua e poco raccomandabile. Il seguito è un affannarsi a ritrovare la fama perduta che, con difficoltà inenarrabili, ritrovano negli ultimi anni con due ottimi album come Norfolk Coast del 2004 e il recente Dark Matters. Nel frattempo gli storici membri, il batterista Jet Black, ormai ottantaquattrenne, e il tastierista Dave Greenfield, ucciso dal Covid, ci hanno lasciati. Rimane il bassista Jean-Jacques Burnel a portare avanti una storia gloriosa con immutata energia. Il libro di Gilardino è assolutamente completo, scorrevole e documentato e ci ricorda la grandezza di una band troppo spesso non sufficientemente celebrata come meriterebbe.
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