Strage di turisti al museo di Tunisi
Primavera di sangue Assalto armato al Bardo. I terroristi sparano contro i visitatori e si barricano nelle sale con decine di ostaggi. Dopo il blitz delle teste di cuoio si contano almeno 19 morti. Quattro italiani. Ma fino a ieri sera regnava l’incertezza sul numero reale e sulla nazionalità delle vittime. Uccisi due attentatori. Nel vicino parlamento era in corso il dibattito sulla nuova legge anti-terrorismo
Primavera di sangue Assalto armato al Bardo. I terroristi sparano contro i visitatori e si barricano nelle sale con decine di ostaggi. Dopo il blitz delle teste di cuoio si contano almeno 19 morti. Quattro italiani. Ma fino a ieri sera regnava l’incertezza sul numero reale e sulla nazionalità delle vittime. Uccisi due attentatori. Nel vicino parlamento era in corso il dibattito sulla nuova legge anti-terrorismo
Attacco al cuore della kasbah, del potere e dell’industria turistica tunisina. Sono 19 i morti, 22 secondo alcune fonti, quasi tutti turisti, nell’attacco compiuto al centro della capitale tunisina, in una zona che racchiude in pochi metri il palazzo dell’Assemblea nazionale e il celebre museo del Bardo.
Due, forse tre uomini armati, abbigliati con uniformi militari, hanno oltrepassato intorno alle 12 di ieri il portone dal quale si accede a entrambi gli edifici. Non è escluso che il loro obiettivo numero uno fosse proprio il parlamento, dove era in corso un dibattito sulla nuova legge anti-terrorismo, presenti il ministro della Giustizia e i vertici delle Forze armate. Ma all’ingresso qualcosa deve aver insospettito i soldati di guardia, qualche incongruenza nella divisa e nei kalashnikov imbracciati dagli attentatori, che sono stati respinti e forse hanno deciso a quel punto di far scattare il piano B, dirigendosi verso il museo. In quel momento un gruppo di turisti stavano scendendo da un bus di fronte all’ingresso e sono stati falciati dal fuoco dei terroristi. Che subito dopo sono entrati nel museo. I visitatori presenti nella struttura in quel momento erano almeno 300.
Il ministro dell’interno Mohamed al Aroui ha parlato inizialmente di otto vittime. Le forze di sicurezza hanno immediatamente circondato l’edificio e mentre un nutrito gruppo di turisti riusciva a fuggire da una porta secondaria, appariva chiaro che all’interno del museo restavano un numero imprecisato di ostaggi,
Alle 15 l’emittente radiofonica Mosaique FM annuncia che in seguito a un blitz dei militari tutti gli ostaggi sono stati liberati. Nell’operazione muoiono anche due terroristi e un terzo sospetto viene arrestato. Il conto delle vittime sale inizialmente a 9, ma poco dopo schizza a 19. I turisti sono 17: polacchi, tedeschi, italiani, spagnoli. 38 i feriti e tra questi ci sono ancora degli italiani e dei polacchi, oltre a sudafricani, francesi e giapponesi. Anche un poliziotto e un cittadino tunisino figurano tra le vittime. Ma è un bilancio purtroppo ancora provvisorio quello che viene diramato dal primo ministro tunisino Habib Essid, il quale poco dopo appare in tv per un discorso dai toni drammatici: «Il paese è in pericolo – dice -, dobbiamo restare uniti e mobilitarci a tutti i livelli, perché questa sarà una guerra lunga».
Lunga e infruttuosa è anche l’attesa di notizie più dettagliate da Tunisi. Si parla di 22 morti e 50 feriti, di due attentatori uccisi ma di un commando però composto da cinque persone. Tre dei turisti sarebbero stati uccisi durante il blitz delle teste di cuoio. Ma ieri sera il governo Renzi non era ancora in grado di dire alcunché sul coinvolgimento di cittadini italiani. Solo verso le 20,30 la Farnesina ha diffuso una nota in cui si parla di quattro morti e sei feriti. Nel museo c’erano anche alcuni passeggeri di una nave della Costa Crociere ancorata nel porto di Tunisi. Un centinaio i visitatori italiani riusciti a fuggire dal Bardo prima del blitz.
Anche la rivendicazione da parte dell’Isis, ripresa da diversi media italiani, non ha ricevuto conferme. Ma certo per la Tunisia e il governo di Essid, varato lo scorso 4 febbraio non senza difficoltà, a oltre cento giorni dalle elezioni legislative, si è trattato uno schiaffo tremendo. Nelle ultime settimane l’allerta terrorismo era cresciuto oltre i livelli di guardia e un’azione eclatante era attesa da un momento all’altro. I servizi tunisini però indicavano come possibili obiettivi i centri commerciali. I vertici politici del paese puntano il dito sul deteriorarsi della situazione nella vicina Libia e l’andirivieni di jihadisti tunisini dal fronte siriano.
Poche ore prima dell’attacco il ministero degli Interni annunciava di aver sgominato una cellula jihadista alla periferia nord della città. Sette arrestati, secondo le autorità tutti con esperienze combattenti in Siria e con compiti di reclutamento in Tunisia. Lo scorso luglio in due attacchi condotti contro posti di blocco sui monti Chaambi, presso il confine algerino, erano stati uccisi 14 soldati.
Dopo aver dato il «la» alle primavere arabe, la Tunisia attraversa una fase di pura schizofrenia. Da un lato la minaccia terroristica, dall’altro gli sforzi immani per rilanciare il turismo; da un lato repressione e tendenze oscurantiste, dall’altra le migliaia di giovani tunisini che meno di un mese fa si sono radunati a Nefta, nell’estremo sud del paese, in pieno deserto, per il festival Dunes Electronique, una celebrazione dionisiaca a base di electro, tecno e hip hop, la musica con cui si identificano i ragazzi artefici della «primavera».
Ieri sera il parlamento tunisino si è riunito in una seduta plenaria straordinaria. Poco prima il partito islamista Ennahdha aveva convocato una manifestazione davanti al teatro Municipale. Una folla spontanea si era inoltre riunita davanti al museo del Bardo, ma la polizia ha cortesemente invitato i manifestanti a sloggiare.
Proprio domani, festa dell’Indipendenza, il presidente Béji Caid Essebsi – che ieri dopo la riunione dell’unità di crisi ha visitato i feriti in ospedale – avrebbe dovuto lanciare un’operazione di «riconciliazione nazionale» con tanto di potenziale amnistia. Ma la misura riguarda essenzialmente fatti addebitati ai quadri del deposto regime di Ben Ali e della cosiddetta troika, al governo dal 2012 al 2014.
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