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Strage alla moschea, la lotta eterna dei salafiti al misticismo sufi

Strage alla moschea, la lotta eterna dei salafiti al misticismo sufiLa moschea sufi Ahmad al Badawi di Tanta – Flickr

Egitto «I sufi riescono a strappare molte centinaia di giovani ai gruppi più radicali, in un modo che l'Esercito non è stato in grado di fare. L'Isis vuole eliminare un rivale ideologico molto convincente», spiega al manifesto Mohammed Sabry, giornalista e analista che ha lavorato a lungo nel Sinai.

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 26 novembre 2017

Qualcuno parla dell’11 Settembre dell’Egitto ma è più giusto dire che il massacro di oltre trecento fedeli nella moschea al Rawda nel nord del Sinai è l’ultimo e più sanguinoso atto della perenne aggressione dei jihadisti salafiti contro il sufismo, la corrente mistica dell’Islam che in Egitto conta circa 15 milioni di adepti. Poco conta se sia stato l’Isis a compiere la strage o un altro gruppo armato. Tutte queste organizzazioni sunnite estremiste guardano con odio e disprezzo ai sufi che considerano non musulmani se non addirittura dei politeisti fuori dell’Islam contro i quali usare anche la forza. I media egiziani dicono che lo sceicco sufi responsabile della moschea presa di mira due giorni fa era stato minacciato più volte da miliziani dell’Isis che gli avevano intimato di interrompere «quei riti». Poi è scattato lo sterminio che non ha risparmiato bambini e adolescenti.

Come negli anni Ottanta e Novanta i sufi erano stati un argine contro il proselitismo del Jihad Islami e della Gamaa al Islamiya che avevano dichiarato guerra allo Stato – due degli attentati più noti in quegli anni furono l’assassinio del presidente Anwar Sadat compiuto dal Jihad nel 1981 e i 62 turisti, in gran parte svizzeri, massacrati nel novembre 1997 da un commando della Gamaa nel tempio funerario della regina Hatshepsut nei pressi di Luxor –, anche oggi i mistici islamici rappresentano uno degli ostacoli sociali più importanti sulla strada dei gruppi jihadisti salafiti (circa 7 milioni di egiziani si proclamano salafiti ma non praticano la violenza e sono rappresentanti nel Parlamento). Un ostacolo che gli estremisti ritengono più difficile delle stesse forze armate perchè agisce tra la gente, specialmente tra i più poveri, quindi nello stesso serbatoio di consenso.

«I sufi riescono a strappare molte centinaia di giovani ai gruppi più radicali, in un modo che l’Esercito non è stato in grado di fare. L’Isis vuole eliminare un rivale ideologico molto convincente», spiega al manifesto Mohammed Sabry, giornalista e analista che ha lavorato a lungo nel Sinai. «I sufi – aggiunge – hanno gli strumenti religiosi, le capacità intellettuali e anche l’astuzia politica per contrastare l’Isis». Nel Sinai i jihadisti l’anno scorso hanno decapitato un anziano dirigente sufi con l’accusa di stregoneria e hanno diffuso un comunicato nel quale esortavano alla lotta al sufismo. «La comunità sufi rimarrà resiliente, come ha sempre fatto, nonostante il massacro nella moschea di al Radwa faccia temere l’inizio di una serie di attacchi. Sono però pronti a difendersi e a cooperare con l’Esercito nella lotta l’Isis», prevede Sabry.
Il termine sufi deriva dall’arabo “suf” (lana). Pare che agli asceti del passato indossassero un vestito di lana molto semplice per dimostrare la loro rinuncia alle vanità del mondo. Fra i grandi esponenti del misticismo islamico ci sono una donna, Rabiia al Adawiuya (morta nell’801 a Bassora), il teosofo egiziano Dhui lun Misri (morto nell’859), l’iracheno al Hallaj ucciso proprio perchè sufi nel 922 e Jalal Eddin al Rumi (1207-1273) fondatore della setta dei dervisci rotanti che simboleggiano il movimento degli astri. L’unità è la dottrina del sufismo: le cose create, compreso l’uomo, sono una manifestazione piena di Allah e lo scopo del sufista è quello di raggiungere una completa immersione (fana) nella sostanza universale attraverso l’osservanza della legge. l’ascetismo e la meditazione e infine l’approdo alla certezza assoluta (paragonabile al nirvana per i buddisti). In Egitto ci sono 74 ordini sufi (tarikas) riconosciuti ma non per questo appoggiati e protetti in modo efficiente dalle forze di sicurezza. Non sono mancati in questi ultimi anni provvedimenti della polizia, su pressione dei sunniti radicali, che hanno vietato i raduni dhikr sufi, con balli e canzoni religiose, che hanno provocato gravi scontri alla moschea di Hussein e Sayyida Zeinab, al Cairo.

I salafiti colpiscono regolarmente il sufismo che accusano di incoraggiare il peccato, la depravazione e la mescolanza dei sessi che avviene nei santuari durante i “mawlid”, i festeggiamenti per il “compleanno” delle figure religiose islamiche (oltre a quello di Maometto in Egitto se ne celebrano altri sette) che considerano non manifestazioni della devozione popolare ma riti pagani. Presa di mira in modo particolare è la moschea di Sayyid Ahmed al Badawi, a Tanta, tomba del fondatore dell’ordine sufi Ahmadiya, dove uomini e donne possono entrare insieme. Ma numerosi attacchi alle moschee dei mistici sono avvenuti anche ad Alessandria.

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