Cultura

Strade infinite e lune capovolte

Strade infinite e lune capovoltePaul Delvaux , «Le vicinal» (1959)

Interviste Parla Sandra Newman, la scrittrice statunitense autrice del romanzo «I cieli» (Ponte alle Grazie). «La definizione di utopia è il miglior mondo che possiamo immaginare e desiderare, ma non possiamo crederci. E quella soglia è sempre in movimento, non necessariamente in una buona direzione»

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 28 gennaio 2020

Gli universi possono sfiorarsi, pare accada alle creature capaci di immaginazione quando producono ulteriori vite possibili. In questa tangenza di profondità magiche e oniriche, incontriamo i primi segni che compongono il romanzo di Sandra Newman, I cieli (Ponte alle Grazie, pp. 252, euro 16.80, traduzione di Laura Berna).
Regale, piena e rotonda, Kate vede Ben a una festa e si innamorano. Imbaciabile, lei cattura negli zigomi ogni raggio di luce e cita Apollinaire del «sacro bordello» fra le cosce. Siamo nel 2000 a New York e di notte Kate, nel sogno, va a visitare un altro tempo e un altro luogo. È a Londra, cinquecento anni prima, si chiama Emilia, è poeta, musicista e condiziona un giovane Shakespeare.
Eventualità ed esitazione sono due tra i grandi temi che si incardinano in uno sfondo erotico raffinato, insieme alla caducità di cui siamo fatti e l’altrettanta veggenza di connessioni carsiche della storia, quella passata e quella assai più imprecisa perché futuribile. «La narrazione – ci racconta la scrittrice statunitense raggiunta per qualche domanda – proviene sì in parte dalle opere shakespeariane ma rimanda ad altri testi meno noti dell’Inghilterra elisabettiana, penso a Thomas Nashe e Thomas Dekker che hanno scritto della vita quotidiana nello stesso linguaggio altamente decorato e innovativo. In quanto romanzo di fantascienza, I cieli è anche in conversazione con altri referenti, c’è una corrente sotterranea con Philip K. Dick. E mi piace menzionare Dorothy Dunnett, i cui romanzi storici mi hanno aiutata a capire come scrivere un testo provvisto di una trama talmente intensa da confinare con l’assurdo».

Come è maturata l’idea del suo romanzo?
Al principio è stato un gioco cominciato con mio marito, inventando concept per programmi televisivi. In uno di questi c’era una donna che viaggiava indietro nel tempo per diventare la Dark Lady dei sonetti di Shakespeare. Non sembrava una cattiva idea, per un romanzo d’amore commerciale, ma non era – in quella forma iniziale – il tipo di libro che poi sarebbe diventato. Quando ho deciso di lavorarci, ci ho pensato in termini più fantascientifici, ovvero in che modo la partecipazione di quella donna alla vita di Shakespeare cambia il corso degli eventi. Come funziona e perché. È diventato più interessante e gradualmente ho continuato.

Sandra Newman

La donna che ha preso corpo è Kate che si interroga su diverse questioni. Per esempio, come possiamo avere delle esistenze felici in un mondo che sembra condannato e pericoloso?
È una riflessione comune e diffusa. Ci sentiamo minacciati in modo univoco, esclusivo, eppure la nostra aspettativa di vita è straordinariamente alta e la nostra qualità del vivere altrettanto buona, rispetto alle persone nella maggior parte dei periodi storici. Intendo dire: come ha fatto, chi è arrivato prima di noi, a trascorrere una esistenza degna di gioia per esempio in Inghilterra all’inizio del XIX secolo. Quando l’età media in cui si moriva, per un appartenente alla classe operaia, era di diciannove anni. Mi dico allora se ci stiamo ponendo i giusti quesiti. Forse dobbiamo soffermarci su quanto possano essere appaganti le nostre singole vicende terrene e persino concordare di sacrificare parte della nostra felicità. Chi deve ancora nascere non è ancora così disperato; questo è davvero un sottotesto del libro, cioè se siamo condannati è perché troviamo così incredibilmente difficile concentrarci davvero su altre persone.

«I cieli», ha dichiarato, è anche un libro che si concentra sulla perdita dell’innocenza. Cosa intende?
Sento come se l’innocenza fosse un mondo in cui ci sono adulti – figurabili in soggetti in grado di fare scelte intelligenti e altruiste, di essere responsabili degli altri. Quando siamo bambini, se abbiamo un’infanzia relativamente serena, crediamo che in tal modo siano fatti gli adulti e, se non corrispondono, ci sia qualcosa di sbagliato, che non va come dovrebbe. Ci aspettiamo insomma di crescere e diventare quegli adulti per poter essere nelle condizioni di fare tutte le cose buone che vagheggiamo.
Poi diventiamo grandi e non otteniamo nessuno di quei poteri, siamo solo bambini cresciuti dall’aspetto strano che non riescono a dormire tutta la notte. In un certo senso, il libro parla di questo: Kate cresce e vede chiaramente che dopo tutto non ha alcun controllo sulla vita. C’è anche un’interpretazione più semplice in cui il libro parla dell’amore dei giovani e dei giovani movimenti politici; in cui possiamo fantasticare un mondo tanto migliore da comportare un cambio di paradigma.
Non è solo un mondo migliore, è un altro tipo di luogo. Per me, e per il libro, quel genere di innocenza non si perde mai perché l’amore giovane e l’inizio dei movimenti politici si verificano sempre e non smarriscono mai la loro forza e la loro bellezza.

Visioni e presagi assediano la mente e il cuore di Kate, invasa dal tempo e dal suo scorrere. Eppure la realtà descritta da Ben non è la stessa. È questa la «follia» della protagonista?
Non c’è una netta distinzione. Kate ha a che fare con il fatto che gli altri personaggi credono sia pazza, tuttavia questa interpretazione non ha alcun significato per lei. Sì, la sua realtà è «sbagliata», e quindi non può essere considerata «sana» perché non ha accesso al reale in cui vivono tutti gli altri. Ma ha anche un’assoluta ragione su ciò che ha vissuto.
La sua realtà non è un errore che ha commesso; è solo un’altra, diversa eppure altrettanto reale. La follia non è un’idea utile per lei – in quanto non è un’idea utile per molte persone classificate come pazze.

Bisogna imparare a stare almeno tra due mondi. L’utopia è una soglia?
Sì, lo è. La definizione di utopia è il miglior mondo che possiamo immaginare e desiderare, ma non possiamo crederci. E quella soglia è sempre in movimento, non necessariamente sempre in una buona direzione, ma comunque mobile. Dal punto di vista del sedicesimo secolo, viviamo oggi – e in numerosi modi – in un’utopia: quasi tutti i bambini nati possono aspettarsi di vivere fino all’età adulta, anche i cani hanno diritti, possiamo letteralmente volare. Queste erano cose (con la possibile eccezione dei diritti canini) che a loro piaceva immaginare, ma che non avrebbero mai creduto sarebbero realmente accadute.

La letteratura e la poesia possono aiutarci nella prefigurazione di altri luoghi…
La letteratura e la poesia mutano il significato del mondo; fanno parte del mondo che per gli esseri umani, sempre più, sta diventando quello principale (se includiamo gli altri media come parte della letteratura); il mondo cosiddetto «reale» è solo una infrastruttura resa necessaria al fine di vivere fantasie letterarie, artistiche o mediali. Ritengo anche che la letteratura, quando cerca di spiegare il circostante, finisca solo per creare più mondi; è proprio come nel tentativo di salvarlo che Kate finisce per produrne di ulteriori.

A cosa sta lavorando adesso?
Sto scrivendo un romanzo in cui gli uomini scompaiono – svaniscono tutti nello stesso momento – e le donne devono quindi ricostruire la società da sole. Di fatto creano una società migliore (meno violenta, più egualitaria) ma i personaggi principali del libro sono donne che non riescono a lasciar andare gli uomini che hanno perso – i loro mariti, padri, figli – e la trama principale del libro parla del loro tentativo di scoprire dove sono andati.

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