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Strada in salita per il ciclismo pop

Strada in salita per il ciclismo pop

Bicicletta Un libro propone una rilettura più mondana dello sport più legato alle tradizioni

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 30 novembre 2019

Sarà che il 2019 per Peter Sagan è stato un anno assai deludente. Sarà che la parola «rivoluzione» è oggi abusata. Sarà che ottobre è il mese dell’Eroica, la corsa ciclistica senese per bici d’epoca. Fatto sta che il libro Generazione Peter Sagan, una rivoluzione su due ruote di Giacomo Pellizzari sta facendo imbestialire parecchi ciclisti. Si tratta comunque di un fatto positivo sia per la casa editrice – 66thand2nd – che per il mondo legato alle due ruote a trazione umana – criticandolo sta ragionando su se stessa e riscoprendosi come comunità che ha una propria concezione del mondo e di come viverlo.

Il motivo dell’incazzatura è presto detto. Il libro usa a pretesto il campione slovacco – di Sagan nelle 150 pagine si parla poco – per disegnare un nuovo modo di andare in bicicletta, una sorta di rottamazione del piccolo mondo antico del ciclismo. La tesi del libro è che la bicicletta va slegata dal concetto di fatica e di sofferenza per entrare in una era «cool»(sic) in cui il divertimento e l’aspetto ludico del mezzo lo faranno riscoprire ai giovani poco attratti dal vetusto mezzo di locomozione, sorpassato dai vari monopattini ipertecnologici a motore che cancellano il verbo pedalare.

Un ciclismo «pop» (sic numero due) contrapposto al ciclismo come sport popolare. Citando Pellizzari: «La bicicletta diviene icona leggera, più pop e meno malinconica. Più moda e design, meno fatica e sacrificio. Insomma, le due ruote finalmente si liberano da quel peso opprimente, e, diciamola tutta, anche poco attraente. Finalmente, ispirata da Sagan (…) la bici torna a volare. Il compito per cui, dopotutto, era nata».

Per rispondere a Pellizzari basterebbero citare i centomila che ogni anno tentano di iscriversi da tutto il mondo all’Eroica di Gaiole, la festa con bici da corsa rigorosamente costruite prima del 1987 che ogni anno allarga il suo successo con annesso «brand mondiale» e giro d’affari milionario per tutto il territorio senese e non solo. Una corsa che vive del motto del suo fondatore Brocci: «La bellezza della fatica, il gusto dell’impresa» con impensabili ciclisti di tutti i generi che passano anche 20 ore in sella per concludere il percorso da 200 chilometri su strade bianche non asfaltate («vintage» le chiamerebbe Pellizzari).

Va anche contestata alla radice la visione che vuole la bicicletta come concetto esclusivamente ludico, come solo «piacere». Meglio, il concetto va traslato. Il «piacere» della bicicletta sta nello sceglierla come mezzo di locomozione quotidiano, come modo di vedere il mondo. È questo passaggio che allarga il potenziale pubblico della bici a molto più dei giovani che Pellizzari vorrebbe conquistare grazie al modello Sagan. Ci sono milioni di persone nel mondo – in gran parte donne – che usano la bicicletta per scelta e che Sagan (esuberante corridore professionista, tra i grandi contemporanei) non sanno nemmeno chi sia. La loro è una scelta ecologica che e allo stesso modo temporale. Se la consapevolezza dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici li porta a pedalare perfino nelle intasate città italiane, al contrario del ciclismo di vertice per loro la – relativa – lentezza diventa un modo per poter meglio apprezzare il mondo, la natura e i suoi ritmi.

Senza scomodare Paolo Conte e Bartali («Vai, Pelizzari, vai su YouTube che noi rimaniamo qui ad aspettare gli occhi allegri da italiano in gita»), il libro – pieno di riferimenti alle imprese del Pellizzari stesso sempre accompagnato dalle ultime tecnologie e componenti – risulta indigesto specie nel capitolo dedicato alle costosissime biciclette per partecipare alla Parigi-Roubaix per amatori – tutto il contrario dell’Eroica ma anche del circuito delle Randonee, lunghissime corse senza classifica – o in quello in cui si raccontano – sebbene criticandoli – i vip che partecipano alla Maratona dles Dolomites in cui la «fatica» della bici è «privilegio, qualcosa per pochi, che hanno il tempo e il denaro per potersela permettere, con agio».

Ecco, la bicicletta da corsa è tutto il contrario: nata d’acciaio, dura secoli, si può aggiustare con pochi soldi, tramandare da nonno a nipote. E durerà molto più di Sagan e Pellizzari.

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