Torna in Italia Alexander Zeldin, drammaturgo e regista inglese che con le sue puntate romane si è fatto amare negli anni scorsi, e ora con il suo Faith, Hope and Charity infiamma il pubblico dell’Argentina, dove è in scena ancora stasera e domani, invitato congiuntamente da Teatro di Roma e Romaeuropa Festival. La poetica di questo artista è all’apparenza molto semplice: rivolgere l’occhio dove raramente «l’arte» si rivolge, e dare campo libero a quell’osservazione. Protagonisti di questo Fede speranza e carità che cita con soave provocazione le virtù teologali della fede cristiana, sono infatti i frequentatori di una mensa solidale, dove una corpacciuta Hazel dalla pelle nera (ma esatto contrario della tradizionale Mamie alla Via col vento) prepara da mangiare per tutti coloro che non possono permetterselo altrove.
Non necessariamente «clochards»,piuttosto middle class decaduta, ma dai caratteri forti quanto provati dalle difficoltà della vita. Ospiti abituali che sono le tessere costanti di un puzzle che a pranzo e a cena si ricompone, ognuno con grossi nodi (esistenziali oltre che finanziari) vistosamente irrisolti.

TUTTI INSIEME appaiono come una compagnia «semistabile», che può istintivamente suscitar tenerezza, che via via però decresce mentre ciascuno scopre pieghe caratteriali, scelte, ambizioni ed equivoci più complessi, da non potersi guadagnare una totale solidarietà. C’è la madre collerica che nasconde i suoi segreti col figlio adolescente, il giovanotto nero in attesa di un tutore che non arriva, così come anche su altri gravano inattendibili garanti di legge, affidatari o sedicenti che siano. E ancora una madre di origine indiana con figlioletta (oggi particolarmente d’attualità nel confronto che viene spontaneo col nuovo primo ministro angloindiano molto più ricco del proprio re) che pure non sembrano contarla giusta, a differenza della fame che le attanaglia. E ancora coppie scoppiate, fino a un delizioso e svagato artistoide che, non si sa se per premio o per punizione collettiva, vuole a tutti costi organizzare un coro che marci all’unisono col pranzo. Senza mai riuscirci naturalmente, con tutti i problemi, davanti a se stessi e alla legge, che emanano da quei tavolini (e dove neanche il bagno funziona a dovere…).. La forza dello spettacolo sta in quest’equilibrio emozionante e insieme spiazzante tra bene e male, se davvero si potessero entrambi rintracciare e quantificare

ARRIVANO in platea invece gli odori dei cibi che vengono serviti, e costante resta il martellìo della pioggia su quella periferia londinese. Ma ricorrente c’è anche la paura della speculazione edilizia, che minaccia sempre più da vicino quella piccola oasi di umanità, destinata a cedere il passo alla sua demolizione, con tanti saluti alla sua vitale funzione. La forza dello spettacolo sta in quest’equilibrio emozionante e insieme spiazzante tra bene e male, se davvero si potessero entrambi rintracciare e quantificare (come le virtù cristiane del titolo), e soprattutto nella straordinaria qualità degli interpreti, tutti bravissimi, avvincenti e immedesimati, ma insieme sublimi nel rivestirsi senza «maniera» di tutte quelle complesse umanità. Si canta e si soffre, si desidera e si diffida, si mente e ci si scopre, in quel gran teatro della vita. Anche in senso letterale: ogni tanto un attore/personaggio scende in sala e si siede tra gli spettatori, a osservare i comportamenti degli altri.

IN QUELLA MENSA del mondo, dove non si morirà mai di indigestione, prendono corpo però sentimenti e ruoli, desideri e frustrazioni. Anche per il pubblico, su cui resta ben acceso per tutto il tempo un potente riflettore dall’alto. Quasi che fossero gli spettatori del teatro a dover mostrare le proprie debolezze a quei «poveracci»in palcoscenico.