Visioni

«Storie di pietre», un romanzo surrealista che nutre l’immaginario di ogni epoca

«Storie di pietre», un romanzo surrealista che nutre l’immaginario di ogni epoca«Storie di pietra», exhibition view – foto di Manuela De Leonardis

Mostre La grande esposizione romana a Villa Medici sulle tracce di Roger Caillois, aperta fino al 14 gennaio 2024

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 9 dicembre 2023

Dal prezioso dagherrotipo Coquillages (1839) di Louis Daguerre che ritrae fossili di conchiglie (proveniente dal Musée des Arts et Métiers di Parigi) alla fotografia colorata a mano di Esther Ferrer Omaggio a Bosch (2011) della serie di autoritratti con oggetti sulla testa – in questo caso la pietra quadrata su cui è poggiato (in equilibrio) un catalogo del pittore fiammingo è l’evidente citazione de L’estrazione della pietra della follia, dipinto ad olio da Hieronymus Bosch nel 1501-1505 – sono diversi i capitoli della mostra Storie di pietra, sulle tracce di Roger Caillois a Villa Medici – Accademia di Francia a Roma (fino al 14 gennaio 2024). Un’esposizione ricca di rimandi e connessioni che i curatori Jean de Loisy e Sam Stourdzé hanno concepito come una sorta di romanzo di matrice surrealista dedicato alle pietre e all’immaginario da queste alimentato in tutte le epoche. Le pietre come poesie suggeriva Roger Caillois, autore di L’Écriture des pierres (1970): pietre seducenti per la loro preziosità o bellezza ineffabile, armonia o imperfezione, anonimato, capacità di destare stupore.

Il raccogliere, quindi, e anche il saper afferrare l’essenza di un oggetto e il suo potere simbolico ed evocativo, è un possibile fil rouge che porta l’osservatore ad entrare nel mondo di Frédéric Bruly Bouabré

PROPRIO DALLA COLLEZIONE dello scrittore francese provengono gli esemplari di septarie, tormaline, ossidiane, quarzi e agate, tra cui quella del Rio Grande do Sul detta «Le petit fantôme» che costituiscono il prologo della mostra stessa, accanto all’antica cisterna in un crescendo che attraversa sale e scalone per concludersi negli appartamenti del Cardinale Ferdinando de’ Medici e nell’atelier Balthus.
Dall’antichità ad oggi sono oltre duecento le opere esposte di artiste e artisti internazionali, tra cui Brancusi, Brassaï, Breton, Caron, De Dominicis, Dürer, Grisi, Hugo, Kwade, Léger, Long, Mendieta, Moore, Penone, Rodin, Signorelli, Trouvé, Vasari, Weston. Un appassionante corto circuito che riflette ancora una volta il pensiero di Caillois in Tre lezioni delle tenebre: «La pietra mi restituisce a una storia lunga e oscura, anteriore all’uomo, una storia che non lo riguarda per nulla e da cui io sono nato alla fine di un percorso tra innumerevoli germogli altrettanto effimeri e vani».

IL RACCOGLIERE, quindi, e anche il saper afferrare l’essenza di un oggetto e il suo potere simbolico ed evocativo, è un possibile fil rouge che porta l’osservatore ad entrare nel mondo di Frédéric Bruly Bouabré con le carte-disegni della serie Cailloux de Békora (2004) dedicate ai piccoli ciottoli fitti di segni che l’artista ivoriano ha trovato a Békora (nei pressi del villaggio natale di Zéprégühé), fonte d’ispirazione per la creazione del suo alfabeto universale, o nella libreria di pietre bianche di Stéphane Thidet. In uno sconfinamento tra reale e immaginario si passa dalla pietra filosofale (molto magmatica la Pierre de Dordogne dipinta da Dubuffet nel 1952) alle pietre religiose: quelle provenienti dalla Terrasanta nel curioso reliquiario del VI secolo e la «Pietra nera» della Kaaba nella miniatura araba della fine del XVI secolo. Ancora due parole sul giardino di pietre di Bagh-e Sangi (1976) che valse al regista iraniano Parviz Kimiavi l’Orso d’argento al festival di Berlino. Creato nel deserto da Darvish Khan, sordomuto dalla nascita, quel luogo reale e allo stesso tempo metafisico è un atto d’amore e di protesta.

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