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Storie di geni autistici e supereroi senza calzamaglia

Storie di geni autistici e supereroi senza calzamagliaBen Affleck e Anna Kendrick

Al cinema Ben Aflleck «con licenza di uccidere» nel thriller informatico frutto della fantasia di Bill Dubuque «The Accountant» diretto da Gavin O'Connor, da oggi nelle sale

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 27 ottobre 2016

Un genio della matematica con il talento di uccidere delle special operation (forze speciali). Questo innesto tra A Beautiful Mind e Rambo, interpretato con ieraticità quasi ilare da Ben Affleck, è il frutto della fantasia dello sceneggiatore Bill Dubuque.

Alla regia, l’americano di Long Island Gavin O’Connor che, dopo un interessante esordio indie (Tumbleweeds) ha trovato la sua cifra in ruvide storie di uomini e sport (Warrior e Pride and Glory) e la sua nemesi in Harvey Weinstein, che ha tenuto in frigo per un anno e rimontato allo sfinimento il suo western femminile, Jane Got a Gun, che forse senza questi trattamento sarebbe stato un film interessante.
Rispetto a questa filmografia, The Accountant è un oggetto più patinato, convenzionalmente «da studio». Prodotto dalla Warnerbros che, al momento, ha messo nelle mani di Affleck l’eredità di Batman, è un film di supereoi senza cappa e calzamaglia.

Battezzato dal nome del noto matematico tedesco, Christopher Wolff (Affleck) è stato diagnosticato da bambino con una forma acuta ma ad alto grado di funzionalità di autismo, e un livello di disconnect, che gli permettono di fare miracoli finanziari con la dichiarazione dei redditi di una famiglia povera e i conti segreti di alcune star del crimine internazionale».

Dietro a una vita grigia e piatta, condotta da un ufficetto kafkiano, Wolff nasconde anche (in una roulotte argentata) una passione per l’arte (Renoir ma, più di ogni altro Pollock), una collezione d’armi d’avanguardia e la preparazione fisica di un killer di professione – eredità del padre Navy Seal che, invece di mandarlo in un istituto speciale per bambini autistici (come quello di X Men) lo ha cresciuto sotto stretto regime militare, trasformandolo in un individuo solitario, pieno di muscoli, rituali e segreti, che non sa ridere, ma che tutto ad un tratto può trasformarsi in un giustiziere letale, come Bruce Wayne.

Forse in omaggio alla mente straordinaria del suo protagonista, Dubuque, divide il film in quattro trame interdipendenti tra loro, in cui si vede Wolff bambino che impara la lotta (alla karate kid); alle prese con i conti che non tornano di una corporation; oggetto di un’inchiesta delle FBI e inseguito da una squadra di mercenari, insieme a una giovane contabile (Anna Kendrick)
Invece di rendere il film più elettrico, emozionante, il continuo andirivieni tra narrative – puntellato di inseguimenti e sparatorie che sembrano lì per ammazzare il tempo – rende The Accountant ancor più greve e prevedibile.

Un film che si sforza disperatamente di essere migliore di quello che è.

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