Storie americane, la voluttà di essere un altro «se stesso»
Al cinema «Hit Man - Killer per caso» di Richard Linklater, commedia e noir nel nuovo film del regista
Al cinema «Hit Man - Killer per caso» di Richard Linklater, commedia e noir nel nuovo film del regista
Gary Johnson cita Nietzsche e guida una Civic, parla dell’oltreuomo agli studenti i quali lo intendono come un invito a uscire dalla propria comfort zone, si muove come un imbranato professore ma è un abilissimo collaboratore della polizia di New Orleans che, fingendosi un killer prezzolato, spinge i suoi clienti a scoprirsi e a farsi arrestare.
Fin dal primo momento niente è quello che sembra e quello che sembra è molto divertente e abbastanza misterioso. Mentre con il procedere della storia, oltre alla raccomandazione di non sottovalutare i proprietari di una utilitaria della Honda, il film incastra attrazioni fatali ed esplicite pulsioni sessuali con piglio da screwball comedy scatenata, riuscitissima pur se, o forse proprio perché, lievemente fuori moda.
La storia viene da un curioso fatto di cronaca comparso su un settimanale una ventina di anni fa, ma nelle mani di Richard Linklater e Glen Powell (che anche interpreta Johnson) la vicenda viene trasformata in una di quelle piccole american stories allo stesso tempo banali ed emblematiche, miniature dello spirito americano scolpite con cattiveria e umorismo nella materia della cultura di massa.
Ispirata a un fatto di cronaca, la vicenda viene trasformata in un gioco sospeso fra realtà e finzione
AL CENTRO di Hit Man – killer per caso c’è il concetto di ruolo che Max Weber poneva a fondamento del fenomeno burocratico e che nel frattempo, con la diffusione della comunicazione digitale, è diventato la base di ogni relazione umana, sia essa lavorativa o ricreativa.
Il cinema lo eredita dal teatro e lo declina a suo modo e Richard Linklater lo usa per organizzare un gioco di scambi fra vita e film di grande intelligenza e lucidità.
Se nel suo capolavoro Boyhood il tempo della vita degli attori contribuiva alla verità dei personaggi, qui al contrario è la finzione cinematografica più smaccata, quella della commedia e del noir, ad alimentare le proiezioni immaginarie del protagonista. Gary scopre la voluttà di essere un altro se stesso, interpretando un ruolo che, nutrito di immaginario cinematografico, gli fa scoprire emozioni e fare esperienze del tutto inedite.
I cliché cinematografici sono rinnovati con brio e vestiti con grande efficacia da Powell che entra ed esce dal personaggio del killer con scioltezza e quel minimo di ammiccamento necessario a esprimere la consapevolezza della situazione.
UN FILM intelligente e molto divertente che dimostra una volta di più la curiosità di Linklater che ama cimentarsi con generi, formati, lunghezze e tecniche sempre diverse, mettendo alla prova dispositivi narrativi disparati ma, a differenza del quasi coetaneo Steven Soderbergh, mantenendosi fedele a un’idea umanistica di cinema capace di generare emozione ed esprimere idee nel confronto caldo con attori e collaboratori.
Fa piacere sapere che il prossimo progetto si intitola Nouvelle vague, è ambientato al tempo di A bout de souffle di Jean Luc Godard e non ammette confronti con lo sberleffo postmodernista di Il mio Godard di Michel Hazanavicius.
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