Se il Citizen Kane del capolavoro di Orson Welles si illudeva che per avere il potere bastasse azionare le rotative e divulgare gli articoli al vetriolo del New York Inquirer, Silvio Berlusconi ha fatto anche di meglio. Non si è accontentato di scendere in politica da magnate dei media e da costruttore di tele-mondi (dopo che di città suburbane) nei quali fare accomodare gli italiani: in questi trent’anni vissuti pericolosamente dentro e fuori dai palazzi ha spostato l’asse del senso comune, della politica e della cultura fino a guadagnarsi la celebrazione solenne a reti unificate, con tanto di Bruno Vespa che torna sul luogo del delitto: la scrivania sulla quale Silvio firmò il suo primo contratto con gli italiani (che sia stato rispettato, è un altro paio di maniche).

BISOGNA PROCEDERE per frammenti, ritagliare pezzi di carta stampata e accostarli l’un l’altro per provare a ricostruire la giornata dei quotidiani all’indomani della morte del Cittadino Berlusconi e ricomporre il paese uscito a pezzi dalla cosiddetta Seconda Repubblica. Si può cominciare dai tre giornali della destra. Il direttore de La Verità Maurizio Belpietro confessa subito: «Questo è l’articolo più difficile della mia carriera». E poi si produce in un elogio dell’uomo che ha sfidato tutto e tutti, rivoluzionato l’Italia convinto di battere persino «le leggi della natura». Tutto iniziò, dice Belpietro, negli anni Settanta, quando le aziende edili facevano soldi a palate ed era normale, leggendolo si ricava che fosse anche giusto, «non tutti i ricavi venivano messi a bilancio».

ANCHE Il Giornale, da poco passato dalla Famiglia B. ai ras delle cliniche private Angelucci, rende onore al gran condottiero. Per Augusto Minzolini, Berlusconi era ancora fino all’altro giorno «il punto di equilibrio politico» del paese, grazie al suo «spirito indomito» e all’«ardire di rilanciare». La cosa curiosa è che secondo Minzolini, siamo di fronte a un uomo che di indole era un «pacificatore». Su Libero, Alessandro Sallusti precisa questo aspetto conferendo al populista che auspica l’impossibile (essere amato all’unanimità) un alone quasi tragico. «Non si dava pace – scrive Sallusti – di non essere percepito da tutti ‘per tutti e di tutti’». Distinta ma simile è l’operazione che si intesta il Foglio, quando con un occhio alla contingenza politica presenta il Cavaliere come una specie di katéchon schmittiano, la forza che ha trattenuto da «derive estremiste» il sistema politico. Definizione bizzarra, se si pensa che il Berlusconi politico ha fondato la sua fortuna con lo scopo dichiarato di impedire che una parte politica, la sinistra, andasse al governo e che sulla base dell’anticomunismo ha traslocato l’estrema destra nel campo dei «moderati». Antonio Polito sul Corriere della Sera si rifugia in un ossimoro: B. era «insieme il frutto del male italiano e al tempo stesso tempo il suo tentativo di cura».

DUNQUE: perché diamine non lo avete amato, voi maledetti ingrati? La sentenza di Francesco Gaetano Caltagirone, editore del Messaggero e autore di un corsivo in prima pagina rappresenta l’ennesimo chiodo sulla bara del fu giornale progressista della capitale. «Era il mio principale concorrente nella costruzione di interi quartieri – ricorda con nostalgia il cementificatore – lui operava a Milano, io a Roma». Poi manda un messaggio a quelli che si sono permessi di opporsi a Berlusconi: «Rimarrà nei libri di scuola – sentenzia Caltagirone – Pochi di quelli che lo hanno attaccato ci rimarranno». Ci sono paginate di necrologi, genere letterario a sé stante. Ricompare Cesare Previti, non pervenuta Veronica Lario, c’è la prima moglie Carla Elvira Dall’Oglio. Fanno capolino, proprio tra i francobolli mortuari, alcune agenzie di rating ma non c’è Standard & Poor’s che nel 2011 declassò l’Italia fornendo ulteriori argomenti alla fine dell’ultimo governo berlusconiano.

PAOLO BRICCO scrive correttamente sul Sole24Ore che Berlusconi è stato un «imprenditore nuovo» perché «non produce beni, non trasforma materie prime, non fa funzionare una fabbrica e non manipola denaro, ma crea invece stili di vita e orienta i comportamenti, ricavandone denaro». In questo impatto tra creazione di valore e forme di vita, capitalismo e affetti, l’imprenditore di nuovo tipo ha inseguito il sogno di un paese unito, senza lotte e antagonismi, al suo fianco in una dedizione totale. Avvenire, uno dei pochi giornali a scrivere chiaramente che Berlusconi è stato tutt’altro che ecumenico ma «divisivo», riassume la sua figura drammatica pubblicando un colloquio avvenuto ormai qualche anno fa con Arturo Celletti. Descrive un uomo pronto ad abbandonare a Milano per rientrare nelle lussuose ma solitarie dimore brianzole. Un leader affranto nella penombra di un salone affrescato, incapace di accettare quello che è stato: «L’Italia non mi ha capito».