Storia  di Lenny Howard, violino sugli alberi
Orazio Gentileschi, «Giovane donna con il violino (Santa Cecilia)», 1612 ca.
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Storia di Lenny Howard, violino sugli alberi

Pagine Eva Meijer, «Il cottage degli uccelli», da nottetempo
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 9 aprile 2022

Arthur Schopenhauer parlava dell’arte, ogni arte, come di una potenza liberatrice: il piacere che essa procura pone termine al bisogno, in favore di una disinteressata contemplazione. Fra tutte, la musica occupa un posto a sé: capace di divincolarsi dalla riproduzione mimetica delle idee, essa si pone come immediata rivelazione di ciò che c’è di più profondo nella realtà, al di là dei limiti della ragione, mettendoci a contatto con le radici stesse della vita e dell’essere.

Gwendolen, per gli amici Gwen o Lenny, protagonista de «Il cottage degli uccelli» (scritto dalla olandese Eva Meijer, nottetempo, 300 pagine, euro 18), suona il violino e sogna di frequentare il conservatorio e far parte di un’orchestra. I suoi sogni si avverano e a Londra viene ingaggiata da un’orchestra in cui spesso ricopre il ruolo di primo violino.

La musica è il suo linguaggio, è il filtro attraverso cui vede il mondo: con la musica disegna paesaggi, «all’inizio c’è l’erba e ogni filo vive sotto i tuoi piedi, poi l’acqua, un fiume che diventa salmastro e sfocia in mare, poi una linea, un orizzonte o una costa, una cornice ferma che inquadra ogni movimento, il paesaggio muta, si punteggia di colline, pendii ripidi, rocce dalle quali credi di poter osservare l’intero mondo». Grazie alla musica «sei stata ovunque senza mai allontanarti da dov’eri».

I suoi viaggi, la sua permanenza in casa fin dall’infanzia, le vacanze: ogni luogo che visita è animato dalla musica ed è abitato da uccelli, l’attenzione per i quali le è stata trasmessa dal padre, che li raccoglieva e li accudiva. Musica e uccelli, il violino e la natura sono strettamente imparentati: «Suonare è come volare», con diverse altezze, con ritmi che si alternano, con suoni che trasmettono messaggi sempre nuovi, e «la fiducia nell’idea che la magia resisterà, che ci si possa credere, finché dura».

Ma la magia non dura. Certo il linguaggio della musica rimane il suo vero lessico: «Dico a Patricia che a volte ho paura delle parole perché intrappolano cose che sarebbe meglio non intrappolare». Con la musica Gwen stringe o rompe relazioni, senza mai davvero rimanere legata, tanto meno sposarsi.

Il vincolo rappresentato dall’orchestra, le parti da provare, la sincronia così forzatamente spontanea, è però troppo per il desiderio di autentica libertà che anima la sua natura: «L’orchestra mi soffoca», confessa a un amico, raccontando quanto piuttosto continuino a catturare la sua attenzione il volo stagionale degli uccelli, il loro complesso attrarsi e respingersi, i cinguettii variegati con cui instaurano vere e proprie relazioni.

Agli amici, che ne rimangono sbigottiti, racconta di volersi sottrarre al contratto di lavoro con l’orchestra per ritirarsi in un cottage nella natura per osservare i volatili nel loro ambiente naturale. Così come la musica nei rigidi schemi dell’orchestra, anche l’ornitologia osserva gli uccelli in laboratorio, inventando esperimenti in cui, tuttavia, l’interferenza dello sguardo scientifico abbatte completamente la spontanea e naturale volontà che li muove. Quel che c’è di profondo e universale nella loro vita rimane, in laboratorio, inattingibile.

Ci vogliono discrezione e gentilezza: porre domande non può significare istruire il nostro interlocutore alle risposte che cerchiamo; non può ridursi alla trasformazione di chi ci sta di fronte in un mero oggetto di osservazione e uso. Gwen stessa si educa ad assumere una posizione rarefatta, trasparente, dalla quale lasciar accadere gli eventi. Perfino quando suona, ora, «il suono dello strumento turba il silenzio, mi rende troppo grande, troppo presente».

Gwen compra un cottage in un villaggio nelle campagne dell’East Sussex, dove si stabilisce a 44 anni per osservare pettirossi, passeri, merli, cinciallegre, uccelli ai quali imporrà il solo, inerte vincolo di un nome, gesto di amore e cura. «Qualcuno crede che attribuisca caratteristiche umane agli uccelli. Senza capire che quelle caratteristiche non sono esclusivamente umane. Anche gli uccelli provano amore, tristezza, litigano. Scrivo solo quello che vedo».

La storia di Gwendolen Howard, musicista e naturalista britannica, nata a fine Ottocento e vissuta fino al 1973, è una storia vera. Ed è una storia che, dalla musica ai volatili, racconta di uno spirito capace di coltivare la libertà, l’attenzione, la cura in tutte le loro declinazioni; e se anche a essere protagonisti sono i suoni e i voli degli uccelli, è una storia che offre preziosi insegnamenti per vivere le relazioni umane, fra uomini e donne, fra umani e natura, per riconoscere la felicità e imparare il sacrificio.

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