Visioni

Storia d’amore e d’anarchia in una Milano da road movie

Storia d’amore e d’anarchia in una Milano da road movieScena da «La storia del Frank e della Nina» di Paola Randi

Al cinema Nelle sale il film di Paola Randi, già presentato nella sezione Orizzonti alla Mostra del cinema di Venezia

Pubblicato circa 19 ore faEdizione del 3 ottobre 2024

La storia del Frank e della Nina di Paola Randi, dopo essersi affacciata sull’orizzonte veneziano, si diffonde nelle sale. La vicenda in realtà non riguarda solo la coppia del titolo, è un trio quello che smuove il mondo perché c’è anche Carlo, detto Gollum, muto perché quando parla sembra stia gorgogliando un lavandino e allora per non farsi prendere in giro, tace. In realtà è lui il nostro narratore in campo e fuori. Perché anche se non parla scrive, le sue sono frasi cesellate sui muri che lui ricava dalle sue letture e dalla sua debordante sensibilità, come quel «dio è un autodidatta» che gli permette di conoscere «il Frank», con l’articolo come si dice a Milano. Che non lo prende in giro per il suo silenzio e i due diventano inseparabili. Frank è un geniaccio dai capelli tinti di biondo, neppure diciottenne, che sa tutto, frequenta anche l’università, ma non come iscritto, lui assorbe concetti, idee, conoscenza. Poi c’è lei, la Nina. Sedicenne, forse, di origine rom, certo, sposata malamente con un cretino violento, mamma della piccola Maria. Lei ama fare fotografie, non per i social, per se stessa, così quando nello stesso quartiere di case popolari incontra Gollum lo scopre bello e anche lei non si ferma alle apparenze di quello strano mutismo.

SE TRA LORO l’amore è impossibile, tra Nina e Frank potrebbe essere (quasi alla Cyrano), a condizione di superare mille difficoltà, perché lui le impartisce lezioni nelle aree dismesse per consentirle di conseguire il diploma di terza media e lei deve inventare escamotage per sfuggire dal personale mostro domestico e dalla burocrazia. Intorno a loro Milano che sembra uscire dalla macchina fotografica di Gabriele Basilico con tanto di dedica «lettera alla mia città» che si chiude affermando «la città mi investe e mi abita».

ROBA COLTA quindi, come quella Canzone intelligente che Cochi e Renato eseguono su intuizione collaborativa di Enzo Jannacci. Poi le stazioni, del metro, ferroviarie, quei capannoni dismessi che sembrano balene di cui è rimasta solo l’ossatura, capaci di nascondere un passato industriale e fili di rame da «zanzare» e rivendere, non senza correre qualche rischio. Non capita spesso di vedere al cinema tre scombinati tanto simpatici nella loro lucida follia da sembrare protagonisti di una favola, mentre in genere quando si parla di protagonisti del genere si scivola dal dramma alla tragedia. Qui siamo al babbo disoccupato, compensato dalla pasta con le sarde della mamma. Allo smarrimento dovuto all’età sublimato da grande cortesia e post it che aiutano a rammentare. Agli immigrati che si chiamano il conte o il rumeno, nonostante il colore della pelle. Quel che conta in questa improbabile e garbata storia d’amore è che Paola Randi e Valia Santella l’hanno scritta con amore, per i loro personaggi, per la città, per le immagini e per le persone che incrociano sul loro cammino. E poi sono indimenticabili il Gollum di Gabriele Monti, il Frank di Samuele Teneggi e la Nina di Ludovica Nasti, mentre quelle di Bruno Bozzetto, Anna Ferzetti e Alessandra Casella sono simpatiche apparizioni.

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