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Nuova finanza pubblica Il 13 febbraio 2013, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama e i leader dell’Unione Europea si sono impegnati ad avviare negoziati per un accordo transatlantico per il libero commercio […]
Nuova finanza pubblica Il 13 febbraio 2013, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama e i leader dell’Unione Europea si sono impegnati ad avviare negoziati per un accordo transatlantico per il libero commercio […]
Il 13 febbraio 2013, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama e i leader dell’Unione Europea si sono impegnati ad avviare negoziati per un accordo transatlantico per il libero commercio e la libertà degli investimenti (Ttip). Come sempre, i negoziati vengono tenuti segreti all’opinione pubblica, mentre vi sono direttamente coinvolti oltre 600 rappresentanti delle multinazionali.
Si tratta del tentativo di costituire la zona più grande di libero scambio sull’intero pianeta, comprendendo economie che coprono il 60% del Pil mondiale.
L’accordo dovrebbe chiudersi entro il 2014 e rappresenta il nuovo e ancor più massiccio attacco ai diritti sociali e del lavoro, ai beni comuni e alla democrazia, dopo i tentativi già portati avanti con l’accordo multilaterale sugli investimenti (Mai) negli anni ’90 e con la direttiva Bolkestein nello scorso decennio, contro i quali si era costruita una fortissima ed efficace mobilitazione sociale.
«La più grossa barriera al commercio e agli investimenti non è il dazio pagato alle frontiere, ma sono le cosiddette ‘barriere non tariffarie’», spiega la Commissione Europea. E il nucleo dell’accordo sta infatti nel rendere «compatibili» le differenti normative tra Usa e Ue che regolano i diversi settori dell’economia, naturalmente all’unico scopo di rendere più libere le attività delle imprese, permettendo loro di poter muovere senza alcun vincolo capitali, merci e lavoro in giro per il globo. Sarà così possibile per le aziende statunitensi chiedere il drastico abbassamento degli standard europei in materia di diritti del lavoro o mettere in sordina il «principio di precauzione», cardine dell’Ue in materia ambientale. Contemporaneamente, le aziende europee puntano ad una modifica delle severe normative Usa sui medicinali, dispositivi medici e i test e su un allentamento del più stretto regime di regolamentazione finanziaria.
Usa e Ue vogliono in sostanza spacciare per «uscita dalla crisi» il nuovo tentativo di realizzare l’utopia delle multinazionali, ovvero un mondo in cui diritti, beni comuni e democrazia siano considerate null’altro che variabili dipendenti dai profitti.
Con un’ulteriore minaccia per la sovranità dei popoli: l’accordo infatti prevede la possibilità per le multinazionali di denunciare a loro nome presso una corte speciale, composta da tre avvocati d’affari rispondenti alle normative della Banca Mondiale, un paese firmatario, la cui politica avrebbe un effetto restrittivo sulla loro vitalità commerciale; potendolo sanzionare con pesantissime multe per avere, con la propria legislazione, ridotto i possibili futuri profitti della multinazionale denunciante.
Per fare un esempio concreto, se il governo italiano dovesse approvare la legge d’iniziativa popolare del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, riconoscendo finalmente l’esito del voto referendario del 2011, ad accordo vigente potrebbe trovarsi sanzionato per aver impedito, con la ripubblicizzazione del servizio idrico, futuri profitti alle multinazionali del settore.
Siamo di fronte ad una vera e propria guerra alla società, giocata con l’alibi della crisi e con il tentativo di rendere strutturali le politiche di austerità, riducendo il lavoro, i beni comuni, la natura e l’intera vita delle persone a fattori per la valorizzazione dei grandi capitali finanziari.
Così come facemmo contro il Mai e contro la Bolkestein, occorre attivare al più presto una forte mobilitazione politica e sociale su entrambe le sponde dell’Atlantico, per dire tutte e tutti assieme che è un’altra la via di uscita dalla crisi. E passa esattamente per l’abbandono di un modello che è contro la vita e il futuro.
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