Visioni

Stéphane Fert, mago da fiaba dalla parte delle streghe

Stéphane Fert, mago da fiaba dalla parte delle stregheUna tavola da «Pelle di mille bestie»

Fumetti Incontro con il disegnatore francese che ha adattato «Pelle d’asino» di Perrault scrivendo anche i testi. «L’universo narrativo delle fiabe va oltre ogni cliché. Nei testi antichi scopriamo vicende molto libere che parlano di sessualità, conflitto e altri temi controversi»

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 18 settembre 2020

La douce France. Un Paese unico anche nella scena fumettistica ricca e sfaccettata. A dispetto dell’uscita di scena degli autori che tra gli Anni ’60 e il nuovo millennio hanno sparso per il mondo germi di grandeur, la bedé continua a stupire. Ci sono i Disney «vintage» di Loisel o Tebo. C’è il fulminante, sofferto Larcenet di Blast. Ci sono le fiabe rivisitate di Stéphane Fert. che dopo Morgana ora compie un deciso salto di qualità con Pelle di mille bestie, edito in Italia da Tunué. Oltre che dei disegni, in quest’occasione il trovatore dei Pirenei Francesi si è occupato anche della scrittura. «Un pallino di gioventù che avevo abbandonato a suo tempo per concentrarmi sul disegno», spiega l’autore, «ma che dopo il lavoro fatto al fianco degli scenaristes Kansara e Lupano nei miei lavori precedenti mi è tornato utile». Improvvisazione, ecco la chiave di Pelle di mille bestie, fumetto che traduce molto liberamente la classicissima Pelle d’asino di Perrault (1694) in un racconto junghiano di 120 pagine.

«LAVORARE con uno sceneggiatore mi ha restituito il gusto per la parola scritta, ma allo stesso tempo mi ha convinto della necessità di lavorare in solitudine per esprimere un potenziale inespresso. Pelle di mille bestie è nato soprattutto improvvisando, cosa che al fianco di uno sceneggiatore sarebbe risultata impossibile». La storia è quella della relazione tormentata fra il fragile principino Lou e la giunonica principessa Ronces, costretta a nascondersi per sfuggire alle mire incestuose del padre. Un potenziale perturbante cui l’autore si è accostato dopo l’infanzia. «Da piccolo non conoscevo le fiabe, a casa non apprezzavamo il genere né i cartoni Disney. Avendole scoperte tardi e concentrandomi sui loro aspetti più paternalistici e retrivi ne avevo un’idea piuttosto negativa. Poi, studiandole, ho scoperto che sotto la superficie si nascondeva un universo narrativo oltre ogni cliché… un pozzo cui attingere per rimaneggiare storie apparentemente già sentite o raddrizzarne gli aspetti più deteriori».

E TANTI saluti ai pasdaran della morale: Pelle di mille bestie non è un racconto a tesi. Perrault raccoglieva spunti per i suoi libri nelle case dei popolani della sua epoca per poi riproporle ai nobili “disinfettate” in forma di storie per bambini. Ma se riprendiamo i testi antichi di 600 anni fa, ci sono storie totalmente prive di morale che parlano di sessualità, conflitto e altri temi controversi. Pelle di mille bestie contiene molte chiavi interpretative. Mi piace pensare che la sua morale sia che… non c’è una morale». Un «caos calmo» che si riflette anche nei continui cambi di registro della storia, in una continua alternanza di generi, dall’horror, all’avventura, al comico, all’erotico. «All’inizio, volevo distaccarmi da Pelle d’asino. M’interessava solo lo scheletro della trama originale, e la trovata di ribaltare i ruoli maschile e femminile mettendo in scena la relazione tra un’orchessa “bestiale” e un principino mingherlino». Ma una volta acchiappato l’editore Delcourt, la fiaba ha finito per prendere il sopravvento sulla stessa volontà di Fert, per così dire «scrivendosi da sola».
«Più ci lavoravo, più Pelle di Mille Bestie mi trascinava lungo le peregrinazioni e i “cambi d’abito” dei suoi personaggi. Le molte anime del fumetto sono frutto di un approccio creativo stabilito procedendo a tentoni. All’inizio, condividevo le fasi del lavoro con l’editore per le approvazioni del caso. Da un certo punto in poi, ho reciso anche quel cordone ombelicale e, pur conservando il fil rouge originale, sono partito per la tangente. Un atteggiamento ben poco professionale, va detto». Impossibile approfondire quest’aspetto senza anticipare qualche dettaglio essenziale di una trama disseminata di sorprese.

Stéphane Fert

MEGLIO PIUTTOSTO concentrarsi sulle stelle della storia, la principessa e il principino. Anche nel disegno dei personaggi, l’autore si è preso la briga di allontanarsi da ogni stereotipo rassicurante, caratterizzandoli in maniera forte, convincente e iconica senza però cedere alle tentazioni glamour tipiche del genere. Quindi: un lui bassino, gracile e guercio e una lei dai fianchi degni delle Grazie di Rubens. «Nella vita, tutti abbiamo dei difetti. Personalmente, più invecchio e più m’infastidiscono tutti quei canoni estetici imposti che non hanno la minima attinenza con la vita reale o la gente comune. È una violenza continua. Io sono alto 1,69, somiglio un po’ al principino e sono anche meno bello. nei miei fumetti non voglio niente del genere. Voglio personaggi in cui i lettori possano riconoscersi. Le storie d’amore, dopotutto, non sono riservate solo a principi e principesse».
Ma corpi non perfetti richiedono anche identità complesse, mutevoli, pronte ad adattarsi alle svolte prodigiose imposte alla trama dallo sceneggiatore e disegnatore transalpino. «Anche rispetto all’identità dei personaggi, il progetto si è molto evoluto nel tempo. All’inizio, nell’intenzione di distaccarmi dalla fiaba originaria, avevo pensato a una storia d’amore fra due protagoniste femminili. Poi ho pensato che potesse essere più interessante inserire un ragazzo nell’equazione, ma come dicevo senza rinunciare all’ipotesi di un ribaltamento dei ruoli… così gli ho dato un aspetto un po’ efebico, quasi asessuato. L’idea era quella di una storia universale, buona per ogni setting e ogni altra forma racconto». Tasto apparentemente dolente, il cosiddetto “target”, che nel caso di Pelle di mille bestie si allarga a dismisura, a comprendere più fasce di pubblico. «La prima ipotesi prevedeva un libro dichiaratamente per adulti, con un’atmosfera dark molto marcata e una malcelata simpatia verso le più autentiche protagoniste delle fiabe più conosciute, non le fate ma le streghe. Nel corso della lavorazione, però, mi sono reso conto che con le opportune modifiche la storia avrebbe potuto interessare anche quei lettori e lettrici preadolescenti e adolescenti cresciuti a cavalieri supervirili e damigelle in pericolo, così ho ammorbidito le scene troppo crude o sessualmente troppo esplicite». Data la formazione artistica di Fert, cresciuto non nella bedé ma nell’illustrazione e nel cinema d’animazione, la tentazione di intravvedere dietro l’angolo eventuali trasposizioni in celluloide è forte. «Come disegnatore mi ispiro a illustratori del calibro di Lorenzo Mattotti o a “maghi” dell’animazione come Mary Blair o David Elvin, dietro le quinte di Classici Disney come Alice nel Paese delle Meraviglie o Cenerentola.

EPPURE, per il creatore di Pelle di mille bestie l’idea di un film tratto dalla sua opera è fuori discussione. «Se si presentasse l’opportunità di farci un film non direi certo di no», si schermisce il cartoonist. «Ma non credo che possa succedere. Questione di target e di tematiche complesse, che nel cinema attuale rischierebbero censure o banalizzazioni». Il tutto, senza dimenticare il budget necessario per trasporre sullo schermo set, incantesimi e invenzioni creative del libro. «È uno dei motivi per cui faccio bande dessinnée e non animazione: come fumettista, godo della libertà enorme di potermi mettere in gioco su progetti molto personali e non necessariamente legati a scelte di carattere economico».

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