Nel romanzo Le Illusioni Perdute, Honoré de Balzac scriveva che la polemica è il piedistallo delle celebrità. Nel caso di Stellar Blade, videogioco d’azione che attinge generosamente a varie (e illustri) fonti d’ispirazione (Nier: Automata e i videogiochi Souls di FromSoftware su tutte), la polemica è stata la compagna di viaggio costante della protagonista Eve, prima, durante e dopo il lancio del gioco.
E si può dire che a qualche settimana di distanza dalla sua uscita questo chiacchiericcio – spesso aggressivo e ripetitivo, sempre incentrato sul corpo di questa avvenente ragazza virtuale – sia la principale eredità di Stellar Blade, un prodotto che fatica a trovare una sua spiccata identità ludica ma che mantiene costantemente al suo centro Eve, eroina chiamata a salvare la Terra dall’invasione di una specie di alieni mostruosi chiamati Naytiba.

Talvolta l’abnegazione totale di Eve sortisce effetti involontariamente comici: in un dialogo con il compagno d’avventura Adam, che le domanda cosa farà dopo aver distrutto il capo delle forze di occupazione, Eve risponde che «Tutti i membri della nostra unità aerea esistono per uno scopo soltanto». A dimostrazione che il peccato originale degli sviluppatori sudcoreani di Shift Up non è l’inserimento del loro gioco di una donna incredibilmente bella e provocante, bensì la scarsa cura nella creazione di un cast ricco, credibile, con interazioni convincenti e motivazioni profonde.

In effetti, alla sessualizzazione delle donne virtuali siamo abituati da decenni, anche prima che Samus Aran nel primo Metroid rimuovesse i suoi abiti in maniera incrementale a seconda del tempo impiegato dal giocatore per concludere il gioco, premiando i più veloci con la visione del suo corpo in bikini. Era il 1986. E lo studio della sessualizzazione delle donne nei media – per quel che qui ci occupa, nel mondo videoludico – ha anch’esso un lungo cammino alle spalle. In ambito psicologico, sono numerosi gli studi sull’impatto della sessualizzazione dei personaggi videoludici femminili sulla percezione del proprio corpo da parte delle donne giocanti, ma anche sulla possibilità che la riduzione in oggetto sessuale delle donne virtuali aumenti l’accettazione di fantasie legate alle violenze e alle molestie.

I risultati sono misti, ma la letteratura sul tema è comunque interessante per comprendere come il videogioco stia diventando sempre di più un oggetto di indagine e di attenzione, paradossalmente considerato da molti come semplice «divertimento» e allo stesso tempo guardato dalle stesse persone con preoccupazione per i suoi possibili effetti negativi sulla formazione della psiche dei giovani.
Una contraddizione insanabile in cui cade anche chi, come Jane McGonigal, sostiene con forza gli effetti positivi dei giochi, e in particolare la natura positiva della «gamification», ossia dell’esportazione di elementi del gioco nella vita pratica di tutti i giorni, mentre il gioco (e il videogioco in particolare) viene difeso con veemenza dai detrattori che suggeriscono un suo ruolo nello sviluppo di comportamenti violenti nei giovani.

In linguistica, l’ipotesi della relatività linguistica «forte» afferma che la lingua parlata da una persona determina il suo modo di pensare. Il determinismo linguistico è oggi ampiamente criticato, ma pochi dubitano dell’importanza del linguaggio nello sviluppo cognitivo e nello «stare al mondo» di una persona. Potremmo dire lo stesso dei videogiochi e dei prodotti mediali di cui fruiamo in generale, dai libri alle serie televisive, passando per film e fumetti.

Ecco, Stellar Blade ha l’indubbio merito di scatenare la riflessione, forse più della voglia di scoprire se Eve riuscirà o meno a salvare il pianeta Terra. Con la consapevolezza che questo 2024 sta proponendo rappresentazioni anche originalissime di donne videoludiche, dall’anziana Lorelei di Lorelei and the Laser Eyes alla maestra Ecate di Hades II. Al di là delle capacità divoratrici delle polemiche su Stellar Blade.