«Susy, tu sai niente… di streghe?». Questa è una delle frasi più emblematiche di Suspiria (1977), a pronunciarla è il personaggio di Sara, incarnato da Stefania Casini, avvolto dai bagliori acidi e arteriosi della fotografia di Luciano Tovoli. Il film di Dario Argento arriva di nuovo nei cinema, dal 12 febbraio, grazie a Cat People e Videa – l’elenco delle sale dove verrà distribuito lo trovate sul sito catpeople.it – e per l’occasione abbiamo raggiunto proprio Stefania Casini per farci raccontare i suoi ricordi legati a quella lavorazione, ma anche molto altro sulla sua carriera estremamente cangiante: tra recitazione, regia, produzione, vecchi incontri e nuovi stupori.

Rispetto però al ritorno di Suspiria sul grande schermo, la prima e inevitabile considerazione da fare a Stefania è… «Tremate, tremate, le streghe son tornate. O forse non se ne sono mai andate. Le streghe di Suspiria sono immortali, restano nell’inconscio dello spettatore, ma anche nella curiosità di chi deve ancora vederlo. È un’opera rock per la musica, per i colori, per come si muovono i personaggi all’interno dello schermo. Non è un caso che torni in sala.

Il personaggio di Sara viene sempre ricordato con piacere, si è chiesta il motivo?
Non me lo spiego… Mi capitò, tra le altre cose, di fare queste famose convention in America, dove vedi lunghe file di persone che pagano per avere la tua firma su una foto. Ma non è che sono vecchi babbioni come me (risata); sono dei giovanissimi che non so come facciano a riconoscermi!

Alida Valli, sul set, era una compagnona.
Era simpatica, dolce, per niente diva. Ti metteva subito a tuo agio.

Invece, dicono che Joan Bennett fosse l’opposto…
Be’, lei era la tipica stella hollywoodiana, molto riservata, arrivava per girare e poi si ritirava nei suoi appartamenti.

Il remake di Guadagnino (lui l’ha definito un’«emozione-omaggio» ad Argento, nda) non l’ha entusiasmata.
Ora Guadagnino mi odierà (risata). In effetti non mi era molto piaciuto, perché è un confronto. Se non ci fosse stato il film di Argento, forse, mi avrebbe colpito di più. C’è un bellissimo inizio, come l’idea di portare la storia ai tempi della Baader-Meinhof, ma poi diventa una favola senza avere la chiave del mistero.

Le è dispiaciuto che abbiano coinvolto solo Jessica Harper?
Aaah, sono furente! (risata). No, non mi è dispiaciuto, sono cose che succedono. Mi sarebbe dispiaciuto di più presenziare in un film che non mi apparteneva. C’entravo poco, in quel contesto.

Un’altra figura importante della sua filmografia è quella di Neve, la ragazza epilettica sdraiata a letto tra Robert De Niro e Gérard Depardieu in «Novecento».Bertolucci pensò proprio a lei per quel personaggio e, effettivamente, la scena con voi tre nudi è entrata nella storia del cinema.
Ma non per me, bensì per i due divi che erano vicino a me! Ho comunque recitato bene la mia parte, la figurina che voleva Bernardo è riuscita. Non avevo, comunque, alcuna sorta d’ansia nel lavorare con loro, eravamo tutti giovani… Le vere star di quel film restano però Bertolucci e Vittorio Storaro.

Sempre con Depardieu lavorò in «Ciao maschio» di Marco Ferreri, la cui trama s’interseca, in maniera quanto mai paradossale, alla recente bufera che sta vivendo l’attore.
Ferreri era un visionario e le sue distorsioni del mondo erano uniche, anche rispetto ai temi che toccava. Con Depardieu non ho mai avuto problemi, all’epoca era un ragazzotto… Non so cosa sia successo nella sua testa.

Debuttò giovanissima con Pietro Germi, ne «Le castagne sono buone», e già dal di lì iniziò a interessarsi alla regia.
Fu un debutto totale, vivevo letteralmente sul set, con le macchine da presa in camera da letto. Non dimentichiamo, inoltre, che sono laureata in architettura e questa voglia di capire come riempire lo schermo o come trovare un linguaggio della composizione, mi hanno sempre incuriosita. Infatti, mi sono trovata benissimo anche con Peter Greenaway (Il ventre dell’architetto, ndr), con lui parlavamo più dell’inquadratura che del mio personaggio.

Però per la sua prima regia aspettò solo il 1983, con «Lontano da dove». Cosa le scattò dopo tanti anni dedicati alla recitazione?
Scattò la noia dei film che facevo. Negli anni 70 i comici andavano per la maggiore, lavorai con Renato Pozzetto (in Luna di miele in tre, ndr), ma volevo esprimermi in maniera più profonda. Decisi di partire per l’America, cominciai a scrivere per Amica e per Vittorio Corona. Entrai poi alla Rai di New York, dove diventai telegiornalista, e incontrai quel genio di Francesca Marciano; eravamo coinquiline e tra una discussione e l’altra sul sogno americano dei giovani italiani, abbiamo scritto e codiretto il film. Da qui è nata la mia consapevolezza nel saper raccontare storie.

Restando col cuore in America, Paul Morrissey è un’altra figura chiave della sua vita.
Decisamente. Dopo aver girato Blood for Dracula siamo rimasti amici, volevo anche fare un documentario su di lui. Andai a trovarlo alcuni giorni, ma il problema è che l’avevano già realizzato… E quindi non ho potuto trovare i finanziamenti internazionali. Paul è un grande conoscitore di tutto il cinema statunitense degli anni 40 e 50, ma di quelli che sanno anche il nome dell’ultima comparsa nella tal scena. Passavamo le sere a vedere vecchi film, sgranocchiando noccioline, come due pazzi cinefili (risata).

Che ricordo conserva di Aldo Lado?
Era un regista molto intelligente, pieno di energia, di humour… Con lui ho fatto solo La cugina e durante le riprese mi chiamarono per dirmi che mio padre stava morendo. Lado mi disse di raggiungerlo subito a Milano. Il giorno dopo tornai sul set per girare una scena e lui: «No no, la Casini per oggi lasciatela in pace. Deve smaltire un grosso dolore». Questa sua frase mi riempì di lacrime, aveva grande sensibilità. Anche Massimo Ranieri è una persona straordinaria, anni fa mi capitò di rivederlo a una festa, era dai tempi del film che non ci incrociavamo. Lo salutai con discrezione e lui: «Ma che, non mi riconosci?» e mi abbracciò con affetto, stupita dalla sua semplicità.

Restando in campo musicale: lei, Beppe Grillo, Maria Giovanna Elmi e Vittorio Salvetti conduttori di Sanremo ‘78. Soffiava aria elettrica all’Ariston?
Ho dei flash di memoria con Rino Gaetano, simpaticissimo, avevamo fatto comunella. Quei giorni me li ricordo come una folata di follia nella mia vita.

Nel 1998 ha fondato, con suo marito Giancarlo Soldi, la casa di produzione Bizef e ancora oggi è una scommessa che funziona.
Mah, sta andando come tutti i produttori del cinema italiano, sballottati tra vuoti normativi e in attesa di capire qualcosa sul tax credit. Vorrei comunque andare avanti. Dovremmo cominciare in aprile un thriller con tre ragazzi e una montagna maledetta.

Ma anche adesso è su un set…
Sì, sto girando un film con Paolo Costella, è un piccolo ruolo, ma non posso parlare! Non lo conoscevo prima di questo lavoro, è una persona che ama il cinema e ama gli attori; con lui discuti, parli, approfondisci, c’è la stoffa di chi ha fatto la gavetta. E quando incontri persone come lui, sono felice di tornare a recitare.

Anche lei, come altre sue colleghe, lamenta la scarsità di ruoli femminili maturi nelle nostre produzioni?
Tranne Stefania Sandrelli, che è l’unico diamante del nostro cinema e alla quale vengono affidate storie con protagoniste di una certa età, non ci sono parti in Italia per donne mature. Ma si lamentano pure le attrici americane, qualcuna disse: «The media decides when you’re not believably fuckable anymore».