«Uuh.., mi innammorai de ti quand nun ce stive/ Tenev’ o’ core a’ strett dind’ a na catena/ E mo chesta catena tene o nomm tuoje/ Pure o’ doce tu e fatt’ addiventá veleno». . La voce potente e sensuale di Stephanie Ojembo, in arte Ste, ha infiammato Tik Tok e Instagram arrivando in breve tempo a milioni di visualizzazioni, cantando l’amore libero e anticonformista. Catene, accompagnato da un videoclip dove fa la prigioniera arrabbiata di una passionale bionda alcolista, è uno dei singoli di successo di questa ragazza di 28 anni nata a Lagos e cresciuta da bambina in una famiglia napoletana che ha adottato lei e la mamma Ada, con l’intercessione del parroco di Villaggio Coppola, la zona del litorale domizio. Proprio, cantando nel coro della chiesa motivi religiosi, Ste ha scoperto il suo talento vocale ed è stata incoraggiata a coltivarlo, esibendosi al Whoop, un pub-ritrovo di Castelvolturno dove le hanno voluto bene e ancora oggi l’aiutano in mille modi. Il suo stile è molto influenzato dal soul, dal jazz e dalla canzone classica napoletana, regalando energia e brividi a ripetizione.

«La mia passione per la musica si è scoperta sin dalla tenera età, con le recite scolastiche e i piccoli progetti extra didattici. Da lì poi sono passata a cantare nel coro della chiesa, fino a non smettere più di lavorare sulla mia voce. Fino ad oggi, con la pubblicazione dei miei inediti, ho continuato a raccontare i vari aspetti della mia vita e del mio carattere. Ma tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di tutte le persone che hanno fatto parte della mia vita». Il suo primo brano s’intitolava Ansia, una dichiarazione d’insicurezza, un testo molto rappato addolcito dalla vena malinconica del dialetto ascoltato e amato. Colato nel suo T’aggio voluto bene, un amore finito, con citazioni da Reginella e Ditincello vuje, due capolavori della canzone napoletana classica, rivoltati con una grinta emozionante. «Sono donna, nera, omosessuale e mi piace cantare l’amore senza pregiudizi e col conforto del napoletano che trovo romantico e coinvolgente – ha dichiarato a Radio Radicale – In tutti i brani che scrivo ci metto dentro me stessa, che si riflette anche nel mio modo di vestire da “maschiaccio”», con giacca, camicia e cravatta.

LA SCORSA ESTATE Ste ha partecipato a Le Vesuviane, una serata tutta al femminile all’Arena Flegrea di Napoli, con 15 partecipanti, in gran parte cantanti jazz e pop, da Teresa De Sio a Simona Molinari, e giovani talenti come Kalika e Filly Lupo, accompagnate da un’orchestra d’archi diretta da Elisabetta Serio. «È stata una serata da brividi, la ricordo con grande piacere- ha detto – Sentire che il pubblico, molto caloroso, apprezzava la mia musica e la mia voce mi ha fatto stare bene».«Nei pezzi metto dentro me stessa. Si riflette anche nel mio stile da maschiaccio»
Alla fine dell’anno è arrivato Red, nato quasi per caso quando Ste pensò di omaggiare nelle storie di Instagram il successo dal ritornello travolgente I know what you want di Busta Rhymes e Mariah Carey. «Integrai quella canzone con delle parole in napoletano che quel giorno mi furono ispirate da un quadro che ho in camera e che dipinsi con lo sfondo rosso e la figura grigia di una donna nuda». Da Instagram a Tik Tok, l’entusiasmo collettivo l’ha portata a incidere il brano, un mashup che ha colpito anche il rapper Geolier e il sassofonista Andrea Siano, che hanno remixato il brano.

C’È UN’ALTRA ragazza d’origine nigeriana, Lina Simons, all’anagrafe Pasqualina De Simone, passata da Cerreto Sannita a Londra dove è approdata per studiare musica e avviare la sua carriera di cantante e musicista. Il suo primo album, P.A.S. con testi molto aggressivi nati dalle sue esperienze di razzismo e discriminazione, in provincia di Benevento, e dalla sua passione per l’afrobeat, il rap e il dialetto napoletano. Una storia simile a quella di Stephanie Ojembo l’ha vissuta anche la scrittrice Sabrina Efionayi, altra ragazza napoletana afrodiscendente, scoperta sulla piattaforma di narrativa Wattpad, con tre milioni di lettori in due anni, e poi il salto con Addio, a domani per Einaudi, la sua incredibile storia vera, l’autobiografia di lei bambina di undici giorni affidata ai dirimpettai dalla madre Gladys, schiava del racket della prostituzione nella devastata Castelvolturno (la cittadina della Strage di San Gennaro, il 18 settembre 2008, con sei giovani vittime innocenti, profughi africani che non c’entravano niente con i regolamenti di conti dei casalesi, dove vivono almeno ventimila immigrati) e cresciuta dal calore della famiglia adottiva, questo perenne amore/odio per la sua madre biologica. Il suo libro racconta due terribili mondi limitrofi e la difficoltà di riuscire a conciliarli in questa provincia italiana, carica di generosità e d’ignoranza, in questo pezzo di paese reale che molti non vogliono vedere.
non stampare, non stampare