Il recente Rapporto sullo Stato di diritto varato in sede europea (vedi il manifesto dello scorso 25 luglio), con i crismi dell’ufficialità, ha riservato all’Italia un capitolo irto di spine. La crepa si è ampliata di ora in ora e non sembra destinata a chiudersi. Dall’Unione si è controreplicato, infatti, alla missiva di Giorgia Meloni: nessuna scelta faziosa o premeditata ha inficiato il Rapporto, frutto del dialogo con fonti variegate e diverse.

La piccata lettera della presidente del Consiglio inviata con furore formalmente dalla Cina alla rinnovata presidente della Commissione di Bruxelles Ursula von der Leyen, aveva un tono supponente e burocratico, rinviando a responsabilità pregresse. Tuttavia, non riusciva a confutare nel merito le critiche sulla sostanza delle questioni, relegandole provocatoriamente a fake news.
Il documento europeo è chiaro. Sotto schiaffo sono finite le politiche istituzionali della destra al governo a partire dal testo sul premierato, dalle sciabolate inferte alla magistratura e per andare proprio all’area delicata dell’informazione.

L’attacco all’indipendenza della Rai, la persistenza del reato della diffamazione con tanto di pena del carcere, il limite imposto alle intercettazioni, soprattutto l’attacco al segreto professionale e le restrizioni del diritto di cronaca dipingono l’Italia come una zona sempre più grigia ormai confinante con l’Ungheria.

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Del resto, gli omologhi testi prodotti dal Centre for media pluralism and media freedom dell’European University Institute con il Robert Schuman Centre for Advanced Studies, nonché dal consorzio Media Freedom Rapid Response – reso noto ieri – sostanzialmente muovono le stesse gravi critiche.

Insomma, il quadro è a tinte fosche e gli stessi dati forniti dall’osservatorio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sul primo trimestre del 2024 segnalano una caduta degli ascolti dei telegiornali, a partire dal Tg1 e per finire con Rainews in caduta libera. A dimostrazione che l’eccesso di controllo distoglie il pubblico pur abituato a fruire del servizio pubblico.

Se è vero che la scelta di affidare ad un amministratore delegato di nomina dell’esecutivo la gestione della Rai risale ad una legge del tempo di Matteo Renzi, l’attuale maggioranza nulla ha proposto per cambiare la situazione. Anzi, potrebbe persino avvenire che nelle prossime ore malauguratamente le Camere procedano ad eleggere la parte del consiglio di amministrazione di emanazione parlamentare. Insomma, alla destra navigare nel peccato piace, eccome.

Se vi è un po’ di buona fede, si eviti di reiterare una pratica in odore di incostituzionalità, come hanno sottolineato diversi candidati al cda nei loro ricorsi alla giustizia amministrativa. E si istruisca con urgenza una vera riforma, evitando strafalcioni come l’ipotesi impraticabile (oltre che sbagliata) di privatizzare a pezzi l’azienda pubblica.

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Così, si receda dall’intenzione ormai conclamata di limitare il diritto di informare ed essere informati, neutralizzando le conseguenze sul lavoro giornalistico dei testi del ministro Nordio. La lista dei rilievi, tra l’altro, è persino sottostimata, essendo messe in soffitta le annose questioni del duopolio radiotelevisivo, della persistenza del conflitto di interessi, della mancanza di una normativa adeguata e moderna sull’editoria.  Nell’età dell’intelligenza artificiale le ferite di oggi possono condizionare pesantemente il futuro.

Lasciamo perdere per decenza la replica al sacrosanto rilievo sulle infrazioni della normativa sulla par condicio: presenze e ospitate del governo in piena campagna elettorale sono andate al di là del bene e del male.

La lettera di Giorgia Meloni, debole e inutilmente polemica, tradiva un imbarazzo grande e reale. Un caso di eccesso di furbizia, che rasenta l’ingenuità. E a Bruxelles, dopo il mancato voto per la rielezione di Ursula von der Leyen, le quotazioni della Presidente italiana sono certamente scese. La risposta alla risposta è la prova che nubi si addensano e temporali sono alle viste.
Il sindacato europeo dei giornalisti chiede un’azione della Commissione europea che vada al di là di uno scambio di missive e questo propone pure l’associazione Articolo21. C’è da interrogarsi, però, se non sia matura un’iniziativa politica comune delle forze di opposizione, forti del sostegno di un

impulso tanto significativo e proveniente da voci non certamente schierate. Per di più in un Paese che con questo governo ha svenduto una quota significativa delle telecomunicazioni al fondo Usa Kkr.