Politica

Stati generali Rai, lo stallo della politica e quello dell’azienda

Stati generali Rai, lo stallo della politica e quello dell’aziendaL'evento sulla Rai a Palazzo Gustiniani – Ansa

Servizio pubblico La presidente della vigilanza Barbara Floridia chiede l’intesa Le distanze restano sulla governance. E la destra litiga sul canone

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 8 novembre 2024

La presidente della commissione vigilanza Rai Barbara Floridia fa sfoggio di spirito ecumenico e richiama alla necessità di trovare convergenze. Ufficialmente per uscire dal vicolo cieco in cui il parlamento si è ficcato quando si è trattato di eleggere il presidente, ma dietro c’è anche la partita della nuova legge sulla governance (dopo che quella voluta da Matteo Renzi è stata bocciata dall’Europa: si dava troppo potere all’esecutivo di turno) e diverse nomine da sbloccare. Eppure la seconda giornata dell’evento «Le sfide del servizio pubblico», ospitato nelle sale del senato di Palazzo Giustianiani, le polemiche non sono mancate. Come quando la vicepresidente della commissione, la meloniana Augusta Montaruli, attacca Report e la sua inchiesta su Antonella Giuli, sorella del ministro della cultura ex ufficio stampa di Fratelli d’Italia e attualmente in forza alla camera. «La commissione all’unanimità ha voluto l’incardinamento della riforma Rai» dice Floridia provando a condurre alla concordia i parlamentari che intervengono al panel conclusivo, quando molti tengono il trolley sotto il banco.

SULLA GOVERNANCE ci sono sette proposte di legge depositate, ne arriveranno altre. Maurizio Lupi di Noi Moderati apre le danze: «Il servizio pubblico deve essere fondato sul parlamento». Angelo Bonelli ammette il «primato della politica» ma senza che questa arrivi a «condizionare le scelte dell’azienda». Per Forza Italia, Roberto Rosso ribadisce: «Ridiamo centralità alle due camere». L’idea degli azzurri è di rimuovere la figura dell’amministratore delegato e lasciare che il cda (eletto, appunto, dalle camere) nomini il direttore generale. Anche l’altra vicepresidente dell’organismo, la renziana Maria Elena Boschi acconsente: «Se vogliamo eliminare la politica dalla Rai, privatizziamo. Se l’azienda rimane pubblica, il controllo politico ci deve stare e giustifica il canone». Proprio canone è uno dei temi esplosivi, che scorre sotto traccia. Da Pechino, Antonio Tajani fa sapere che Forza Italia non voterà la riduzione da 90 a 70 euro prevista da un emendamento della Lega alla legge di bilancio. Il leghista Giorgio Bergesio mette i piedi nel piatto della raccolta pubblicitaria ed esplicita la concorrenza dei Berlusconi: «Le risorse si possono trovare: la Rai raccoglie 780 milioni e Mediaset più di due miliardi».

LA FORMULA MAGICA è digital media company: la ripetono tutti perché sanno che è raro che una persona che ha meno di 40 oggi si metta davanti alla televisione e si senta attratto da un media generalista (le cifre dicono che siamo al di sotto del 5% dell’audience). Bonelli tira in ballo Elon Musk: «Come ci poniamo di fronte a una autocrazia tecnologica come quella?». Francesco Filini di Fratelli d’Italia difende il supporter miliardario di Trump: «Lui almeno non filtra i contenuti!». Dario Carotenuto, per il M5S, partito che alle origini disertava il piccolo schermo in nome della «rivoluzione della rete» (sic), fa ammissione di tele-dipendenza: «Sono cresciuto con la tv, la Rai ha formato il mio modo di pensare, anche nelle censure». Forse per ostentare disinvoltura sulle nomine Floridia sostiene che FdI era fuori dallo scorso Cda ma poi è diventato primo partito. Antonio Nicita del Pd propone di affidare la Rai a una fondazione e riflette sul senso attuale del servizio pubblico: non si tratta più di gestire il monopolio delle frequenze riempiendole con il pluralismo ma di bucare il rumore bianco prodotto dalla sovrapproduzione di informazione con contenuti di qualità.

INSOMMA, si dice che la crisi della Rai anticipi la crisi di governo e forse non siamo a questo punto. Ma possiamo affermare che lo stallo della Rai rappresenta lo stallo della politica: quello della maggioranza che non trova modo di uscire dall’empasse sulle riforme e ha qualche allergia sugli organismi della garanzia. E quello delle opposizioni, che marciano divise. C’è anche il rischio dello stallo di fronte ai mutamenti sociali e tecnologici. Se la cultura della televisione è per certi versi ancora egemone, di sicuro non è così diffuso lo strumento del televisore: le immagini in movimento passano per altri schermi (qualcuno fa notare che il canale YouTube della Rai ha 6 milioni di follower). Ma ci sono anche le parole e i suoni. Ed è incredibile che in questi due giorni di dibattito si sia sottovalutata la radio, lo strumento transmediale che esce rigenerato dai mutamenti radicali degli ultimi anni.

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