Stalking, una battaglia contro il tempo
Il crescente fenomeno della violenza maschile e lo spazio che i reati di genere occupano nella cronaca giudiziaria, rendono necessario un ulteriore esame della natura del delitto e dei rimedi […]
Il crescente fenomeno della violenza maschile e lo spazio che i reati di genere occupano nella cronaca giudiziaria, rendono necessario un ulteriore esame della natura del delitto e dei rimedi […]
Il crescente fenomeno della violenza maschile e lo spazio che i reati di genere occupano nella cronaca giudiziaria, rendono necessario un ulteriore esame della natura del delitto e dei rimedi che le istituzioni predispongono e realizzano, dinanzi al suo pericoloso diffondersi. Il reato di atti persecutori (più noto come stalking) rientra nella figura del reato abituale in quanto consiste nella ripetizione di condotte identiche o omogenee non tutte in sé punibili, ma che si presentano come espressione di un habitus di vita, di un’inclinazione delittuosa.
La norma dell’articolo 612bis è stata inserita nel nostro ordinamento a tutela della libertà morale della persona da intrusioni moleste e assillanti e ha ad oggetto condotte reiterate che, costituendo un sistema di comportamenti lesivi della serenità e dell’equilibrio psichico della preda, determinano alternativamente o congiuntamente una serie di offese: un perdurante e grave stato di ansia o paura, un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persona comunque affettivamente legata, la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita.
Di qui la razionale scelta del legislatore di dare rilevanza penale anche a ripetute condotte in sé non punibili (per esempio, presenza continua dinanzi all’abitazione della vittima), nonché specifica rilevanza a ripetute condotte tipiche di altri reati (ingiuria, minaccia, lesioni, violenza privata, molestia e simili), in quanto proiettate alla creazione e/o al rafforzamento di uno stato di costante ed ossessiva ingerenza nella vita della vittima (quasi sempre una donna), con reiterati sconfinamenti molesti,violenti, intimidatori.
Secondo la dottrina, l’autore è da ritenere guidato da coscienza e volontà che ogni sua nuova azione si aggiunge alle precedenti, realizzando il sistema di comportamenti offensivi, che sono forieri della progressiva alterazione del sistema di vita della vittima, spinta anche alla sudditanza psicologica.
A questo progressivo e spesso crescente atteggiamento di persecuzione corrisponde nella vittima –attraverso fasi intermedie di timori, di ripensamenti, di speranze, di delusioni, di rinnovate e rafforzate paure – il passaggio da un iniziale atteggiamento di sentimenti affettivi allo stato di paura, alla sensazione di stravolgimento materiale e psicologico del modo di sentire e di vivere. Il tutto sfocia, spesso, non solo nell’evento tipico di questo reato (un regime di vita ossessivo, tale da causare nella donna un grave stato di ansia e di paura; fondati timori per l’incolumità fisica propria e dei propri cari; la modifica delle proprie abitudini di vita), ma anche in eventi più dolorosi e drammatici (lesioni gravi e gravissime, omicidio) Proprio alla luce di questa duplice progressione criminosa (all’interno dell’ipotesi dello stalking, fino a irreversibili approdi distruttivi della vittima, costituenti altri e più gravi delitti ), il legislatore, con il decreto legge n.93/2013, intende integrare la normativa per assicurare maggior effettività alle misure adottate negli ultimi anni. Tale esigenza è stata sentita in coerenza con la recente ratifica da parte del Parlamento della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (l. 27 giugno 2013, n. 77). E’ stato precisato che il decreto legge non costituisce formalmente l’atto normativo finalizzato a darvi attuazione – in quanto la Convenzione non è ancora in vigore non essendo stata finora ratificata da un numero sufficiente di Stati – ma alcune nuove disposizioni, ispirandosi ad essa, anticipano di fatto l’adeguamento dell’ordinamento interno ad una parte dei suoi contenuti.
La più rilevante novità in materia di atti persecutori riguarda la procedibilità del reato, con la previsione della irrevocabilità della querela, che è sostanzialmente la richiesta di punizione, avanzata dalla persona offesa. Il legislatore (d.l. 38 del 2009) aveva disposto che lo stesso fosse procedibile a querela (salvi i casi di connessione con reati procedibili d’ufficio o di persona offesa minorenne o disabile), estendendo il termine ordinario per la sua presentazione da tre a sei mesi, così come previsto per i reati sessuali. Tuttavia la previsione della irrevocabilità della querela non pare sufficiente in assenza di altri interventi sistematici a sostegno della persona offesa, sottoposta ad assillante assedio. Lasciata sola, priva della consapevolezza che le istituzioni sono oggettivamente e soggettivamente disposte a proteggerla, la donna –preso atto dei reali rapporti di forze- può essere portata ad abbandonare sostanzialmente la richiesta di punizione, con rinunciatari comportamenti, prima e durante il processo. Al di là di pur commendevoli iniziative riformatrici, appare quindi di immediata e prevalente importanza una disciplina -formale e pragmatica- che conduca, con pieno coordinamento e con rapido scambio di conoscenze, operatori di polizia e di magistratura inquirente a dare- all’aggressore e alla vittima – la fondata percezione che lo Stato è in grado di infrangere la persecuzione e di prevenire sviluppi di violenza e atti di irreversibile offesa.
Proprio la connotazione frazionata, progressiva ,abituale dell’ azione persecutoria rende estremamente agevole conoscerne lo spessore criminoso, prevederne modi e tempi di ripetizione, anticiparne e frenarne eventuali incrementi di pericolosità.
I segni premonitori di un’esplosione dell’inclinazione delittuosa dovrebbero essere percepibili nell’ambito di un immediato programma di protezione della vittima, al primo segnale di allarme da questa lanciato, in modo da trasformare in obiettivo di legittima indagine e di giusta sanzione chi abbia mostrato di voler braccare la preda. E’ di estrema importanza quindi l’obbligo del questore, previsto dall’art.1 del decreto legge, di provvedere sulle armi di chi sia soggetto alla già vigente procedura di ammonimento.
Proprio nella prospettiva di un maggior tempismo, di incremento ad un maggior protagonismo delle forze di polizia, può inquadrarsi la disposizione (art.2 co.1 lett.c) del decreto, che ha reso obbligatorio l’arresto in flagranza per il delitto di atti persecutori. Va comunque ribadita, anche in questo caso, l’esigenza che, a monte dell’intervento coercitivo da parte della polizia, vi sia stata un’azione di indagine, di controllo, di pedinamento, senza la quale un singolo atto persecutorio (che può essere penalmente irrilevante o costituire reato minore incompatibile con l’arresto in flagranza) difficilmente potrebbe apparire ad un disinformato ed estemporaneo operatore come flagranza del ben più grave reato di stalking.
Sempre nel quadro di questa lotta contro il tempo, la nuova normativa interviene sui criteri di priorità nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi, attribuendo una posizione primaria al delitto di atti persecutori, unitamente al delitto di maltrattamenti e ai delitti contro la libertà sessuale.
Ho già rilevato, in un precedente articolo, che la violenza maschile -in un nuovo spessore di antagonismo e di resistenza all’evoluzione civile- sta aumentando in stretta correlazione alla crescente emancipazione femminile all’interno della coppia, della famiglia, dell’ambiente di lavoro, della vita politica. I fatti confermano continuamente questa amara realtà, che deve spingere tutti, e principalmente le pubbliche istituzioni, ad un corrispettivo aumento di impegno.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento