Sri Lanka, torna il «giustiziere» dei Tamil
Sri Lanka Per le presidenziali di fine 2019 potrebbe candidarsi il discusso protagonista della repressione contro le «Tigri»
Sri Lanka Per le presidenziali di fine 2019 potrebbe candidarsi il discusso protagonista della repressione contro le «Tigri»
C’è una novità nella politica srilankese a pochi giorni dalla prima ricorrenza delle bombe di Pasqua che il 21 aprile uccisero oltre 250 persone in uno degli attentati recenti più sanguinosi. È una novità che ha in realtà un sapore antico poiché si riferisce non solo a un personaggio del passato ma anche a un uomo di cui è lecito dubitare proprio per il suo passato.
SI CHIAMA Gotabaya Rajapaksa ed è un fratello dell’ex presidente Mahinda – due mandati alle spalle – che qualche mese fa aveva tentato, con il bizzarro appoggio dell’attuale capo dello Stato suo ex rivale, di tornare in pista come premier.
Le presidenziali si avvicinano e Mahinda aveva pensato di sfidare la legge correndo per un terzo mandato (vietato nello Sri lanka) ma dopo la sua recente e sfortunata avventura da premier (cancellata dal tribunale), deve averci ripensato.
E così si fa avanti Gotabaya, l’uomo che dal novembre 2005 al gennaio 2015, quando Mahinda perderà le elezioni contro l’attuale presidente Sirisena, ha ricoperto l’incarico di segretario generale alla Difesa. Non è un titolo qualsiasi e non fu un decennio qualsiasi.
Nello Sri Lanka il dicastero della Difesa è retto dal presidente che detta gli indirizzi di sicurezza nazionale ma in realtà chi conta davvero nella macchina è il suo segretario generale (nello Sri Lanka assai di più che in altri Paesi del Commonwealth dove si segue la procedura istituzionale anglosassone).
NEL 2009 GOTABAYA è l’eroe con Mahinda della disfatta delle Tigri tamil (ieri ricorreva il decennale), il gruppo secessionista in lotta per fare del Nord dello Sri Lanka una nazione tamil indipendente. Quella vittoria però fu una strage accompagnata da bombardamenti indiscriminati, violenze sulla popolazione civile, esecuzioni sommarie e operazioni della sicurezza che videro sparire decine di migliaia di tamil, strozzati dalla strategia di repressione gestita in prima persona da Gotabaya e dall’esercito.
Dopo la fine del regime del fratello nel 2015, Gotabaya emigra in fretta e furia perché teme una resa dei conti. Ottiene la cittadinanza americana dove però la giustizia fa il suo corso accogliendo due denunce contro di lui: da un sopravvissuto tamil alla tortura e dalla figlia di Lasantha Wickremetunga, giornalista ucciso nel 2009.
Per Gotabaya sono fandonie come le accuse del generale Sarath Fonseka che lo accusava di avergli ordinato di sparare alle Tigri con la bandiera bianca. Gli analisti osservano che il suo arrivo sulla scena come strongman sia da collegarsi a due elementi: l’impossibilità per Mahinda di ricandidarsi e il bisogno di sicurezza di una comunità scossa dalle bombe. Chi meglio di un uomo dal polso di ferro e che non va troppo per il sottile?
È SU QUESTA FAGLIA SOTTILE che si gioca il futuro di un Paese impaurito entrato col sangue nelle cronache di un mese fa cui sono seguiti veri e propri pogrom anti musulmani. Sul futuro mette in guardia un appello firmato da oltre 240 intellettuali, attivisti, scrittori, giornalisti, artisti e accademici asiatici, soprattutto di Paesi a grande presenza musulmana.
Il testo solidarizza con lo Sri Lanka ma mette in guardia sulla deriva classica della lotta al terrore esortando il governo «a garantire che, in nome della sicurezza nazionale, i diritti fondamentali e la dignità di tutti non siano violati», come spesso accaduto nei loro Paesi.
Tra le firme ci sono nomi noti anche in occidente (benché a Ovest l’appello non sia circolato) come l’afgana Sima Samar, della Commissione Indipendente per i Diritti Umani, la femminista e storica indiana Uma Chakravarti, il fotografo bangladese Shaidul Alam, l’editore nepalese Kanak Mani Dixit o l’ artista e filmmaker pachistana Beena Sarwar.
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