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Sri Lanka, raid della polizia in un «covo»: sedici morti

Sri Lanka, raid della polizia in un «covo»: sedici mortiMilitare di guardia alla Chiesa di Sant'Antonio a Colombo – Afp

Sri Lanka Secondo la versione ufficiale di Colombo tre «sospetti terroristi» si sarebbero fatti esplodere

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 28 aprile 2019

Sainthamaruthu è una cittadina di 25mila abitanti dello Sri Lanka orientale. Completamente musulmana. È qui che la notte tra venerdì e sabato si è verificata l’ennesima strage. La versione ufficiale racconta che sedici persone sono morte dopo un’intensa sparatoria nata da un raid per verificare un possibile nascondiglio di militanti.

TRA I MORTI NEL COVO ci sono tre donne e sei bambini. La zona è quella del predicatore Zahran Hashim, capo del National Thowheed Jamath (al bando con Jamathei Millathu Ibrahim) – supposta mente del gruppo di fuoco della Pasqua di sangue – che si è fatto esplodere all’Hotel Shangri-La di Colombo durante gli attentati di domenica scorsa.

Uomini armati hanno aperto il fuoco dall’abitazione mentre il commando tentava il raid; poi tre militanti loro si sono fatti esplodere uccidendo tutti quelli che erano con loro mentre altri tre sono stati uccisi fuori dalla casa.

Un civile è finito in mezzo al fuoco incrociato durato un’ora. L’uomo è morto mentre una donna e un bambino sono stati feriti. Poi è arrivata la tv: i filmati sulla televisione di Stato mostrano corpi carbonizzati all’interno della casa, esplosivi, un generatore, un drone, batterie.

Il raid avrebbe avuto origine da una soffiata. Tutto sembra funzionare seppur con qualche sbavatura: com’è possibile che in una casa dove si fanno saltare in aria tre persone si riescano a rinvenire intatti degli esplosivi? Sono domande destinate a ripetersi. Effetti collaterali dello stato di emergenza scatenato dalla reazione agli attentati di Pasqua.

C’È DI PIÙ: in casa la polizia avrebbe trovato una bandiera dello Stato islamico e uniformi (intatte?) simili a quelle indossate dagli otto combattenti mostrati nell’immagine pubblicata dall’Isis per rivendicare la strage. Un’immagine in cui stava al centro – unico a volto scoperto – proprio Zahran Hashim.

Lo stato di emergenza non si vedeva nello Sri Lanka dal 2011 quando fu levato a due anni di distanza dalla strage che chiuse definitamente la partita con le Tigri Tamil, l’organizzazione secessionista che per oltre vent’anni aveva tenuto in scacco il governo con una guerra costata decine di migliaia di vittime. Lo stato di emergenza conferisce alle forze di sicurezza ampi poteri di ricerca, arresto e censura. Si accompagna a un bando sui social media e al coprifuoco notturno imposto già dal giorno degli attentati. Le preoccupazioni non mancano.

«I REGOLAMENTI di emergenza – confida ad Al Jazeera Meenakshi Ganguly, direttore per l’Asia meridionale di Human Rights Watch – sono stati messi in atto quasi ininterrottamente dal 1971 al 2011 concedendo ampi poteri per cercare, arrestare e detenere, il che ha portato a gravi violazioni dei diritti umani».
Alan Keenan, dell’International Crisis Group, condivide: «C’è motivo di seria preoccupazione per l’ampia portata dei nuovi reati dichiarati nei regolamenti di emergenza. Molte attività legali in precedenza sono state criminalizzate sulla base di una nozione ampia e mal definita di sicurezza nazionale».

Il decreto presidenziale che ha messo in vigore lo stato d’emergenza consente di vietare assemblee pubbliche e di detenere i sospetti per tre mesi senza un mandato del giudice. Infine è possibile vietare la pubblicazione di scritti che possano minare la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico.

Come? Un giornale non può adesso rifiutare la censura preventiva pena la chiusura. Intanto il dipartimento di Stato americano sollecita i cittadini degli Stati uniti a lasciare lo Sri Lanka sostenendo che «i gruppi terroristici continuano a pianificare possibili attacchi» e possono attaccare ovunque dalle località turistiche ai mercati, dai ristoranti agli ospedali.

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