È un Paese pieno di code lo Sri Lanka dopo il week end che ha messo in fuga il capo dello Stato Gotabaya Rajapaksa e il premier Ranil Wikremeshinghe la cui residenza – «la mia unica casa» ha detto il primo ministro in un accorato messaggio diffuso anche su Youtube dall’United National Party – è stata data alle fiamme. Code per la benzina, il gasolio, il gas per cucinare che da ieri, pur razionati, sono riapparsi nei distributori. E code per vedere il “lusso” della residenza presidenziale, occupata sabato dai dimostranti: per farsi un selfie e osservare da vicino il simbolo della diseguaglianza di un Paese ostaggio per decenni di una sola famiglia.

È tornata dunque una calma tesa dopo il sabato di lotta in cui sono arrivate nella capitale Colombo migliaia di donne e uomini inferociti per dare la spallata definitiva a un presidente che non se ne voleva andare. Mangiata la foglia, Gotabaya ha fatto le valige ed è sparito prima che la folla entrasse nel palazzo. In serata annunciava attraverso il suo portavoce imminenti dimissioni.

MA C’È ANCHE UN PICCOLO GIALLO: in un’intervista alla Bbc, il portavoce del parlamento Abeywardena aveva fatto sapere che Gotabaya era all’estero, in un luogo sicuro in attesa di far ritorno in patria dove domani dovrebbe annunciare di persona le sue dimissioni. Poi la rettifica: Gotabaya è nello Sri Lanka, dice Abeywardena a un’agenzia di stampa indiana. Ma non aggiunge dettagli. Vero non vero, la gaffe la dice lunga sia sui rapporti istituzionali e sul profilo della famiglia Rajapaksa che, con Mahinda premier – il maggiore già ex presidente – e Gotabaya – già ministro della Difesa – a capo dello Stato, ha mantenuto in ostaggio 22 milioni di srilankesi per 4 lustri. Non senza elargire benefit alla famiglia, molti rampolli della quale hanno servito come ministri. Quanto a Mahinda, dove si trovi e se sia ancora nel Paese non si sa.

Adesso le prossime mosse hanno già un calendario sempre che Gotabaya domani riappaia e si dimetta come promesso. Il presidente del parlamento Mahinda Yapa Abeywardena ha fatto sapere che, a dimissioni avvenute, il 15 luglio verrà convocata l’Assemblea ed entro il 20 luglio i parlamentari dovranno votare il nuovo Presidente. Una crisi istituzionale che si dovrebbe dunque risolvere nel giro di dieci giorni.

MENTRE SCEGLIE IL PRESIDENTE – già circolano i primi nomi – lo Sri Lanka dovrà anche formare un governo di unità nazionale il che al momento appare l’unica via d’uscita possibile senza ricorrere alle urne. Una corsa contro il tempo anche per poter contare su un esecutivo che riprenda i colloqui col Fondo monetario internazionale che dovrebbe iniettare 3 miliardi di valuta pregiata nelle casse esangui di un Paese che ha un debito estero di circa 50 miliardi di dollari al momento inesigibile.

Nella vicenda interna di un Paese che in aprile ha annunciato bancarotta, contano anche i giochi della geopolitica internazionale. Colombo si era già rivolta alla Russia per avere energia a prezzi scontati. Poi ci sono i debiti con Cina e India e infine i rapporti con l’Occidente. Con un editoriale ieri sul Global Times, Pechino mette i puntini sulle i e si difende: «L’attuale crisi del debito dello Sri Lanka non è direttamente correlata agli investimenti infrastrutturali finanziati dalla Cina», che rappresentano «solo il 10% del debito estero totale in essere… I creditori commerciali e le istituzioni finanziarie multilaterali dei Paesi occidentali sono responsabili del debito estero dello Sri Lanka. Hanno venduto il debito ai cosiddetti fondi avvoltoio, che hanno sfruttato ogni centesimo del Paese. Pertanto, screditare la Cina accusandola della “trappola del debito” e persino attaccando la Belt and Road Initiative non è fondato… alcuni Paesi occidentali come gli Stati uniti sono più interessati a utilizzare la crisi dello Sri Lanka per manipolazioni geopolitiche che a offrire un’assistenza reale al Paese».

MOSCA STA A GUARDARE. Gli Usa restano in silenzio. Quanto ai Rajapaksa i loro ottimi rapporti coi cinesi sono noti così come lo è l’entità del debito e anche il fatto che le pedine mosse da Pechino nell’Oceano indiano hanno indispettito in questi anni indiani e americani. Stabilire il gioco delle responsabilità può essere un buon esercizio.