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«Spy», l’insospettabile eroina è una grassa madre di famiglia

«Spy», l’insospettabile eroina è una grassa madre di famiglia

Cinema La commedia di Paul Feig, in sala da oggi, 15 luglio, esalta l'irresistibile talento comico di Melissa McCarthy

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 16 luglio 2015

Dopo Kingsman, Johnny English, gli Spy Kids e gli Austin Powers, True Lies di James Cameron, numerosi cartoon di Bugs Bunny l’italiano OK Connery (con il fratello di Sean Connery) e almeno un porno, l’ultima parodia di James Bond è donna.

 

Come i film dedicati alla spia inglese inventata da Ian Fleming, Spy di Paul Feig (co-creatore insieme a Judd Apatow della mitica serie Freeks and Geeks, e regista/sceneggiatore di Bridesmaids), è ambientato sullo sfondo glamour di parecchie capitali europee, popolato di cattivi sadici, di cattive bellissime, di agenti dal raffinato accento inglese armati di elaborati gadget mortali ideati apposta per loro, e che per professione salvano il mondo.

 

 

 

Susan Cooper, la protagonista, guarda queste imprese di lusso e spericolatezza come un acquario dal monitor di un ufficio nelle cantine di Langley dove sta il quartiere generale della Cia. Il suo ruolo invisibile ma importantissimo si gioca infatti alla tetra scrivania, da cui, come la Chloe di 24, Cooper «pilota» il soave agente Bradley Fine. In realtà, per rango e per training, Susan ha tutte le qualifiche per essere sul campo, ma essendo innamorata di Bradley, non vuole rinunciare alla loro intimità auricolare, e alla chance di salvargli regolarmente la vita. Lui la ripaga portandola distrattamente a cena, quando capita nel molto poco glamour Maryland, o regalandole dei gioielloni orrendi che uno immagina al collo di una zitella grassa a e molto sola.

 

 

Perché zitella, grassa e sola Susan lo è ma, siccome è interpretata da Melissa McCarthy, sappiamo fin dall’inizio che dietro a quel rivestimento triste si nasconde una forza della natura.

 

Cresciuta all’ombra delle televisive Gilmore Girls, «scoperta» sui grandi schermi in Bridesmaids (era la più umana delle damigelle d’onore), consacrata dai successi di Identity Thief (dove rubava l’identità di Jason Bateman) e The Heat (dove la sua sboccata poliziotta proletaria dava filo da torcere all’agente Fbi Sandra Bullock), McCarthy è una delle grandi comedienne del cinema contemporaneo. Tempo comico impeccabile da Hollywood classica, la fisicità (auto) distruttiva ed eversiva del muto migliore (un eco della leggerezza e della temerarietà di Fatty Arbuckle…), capace di accendersi come una lucciola ma anche di comunicare dolore profondo, di passare dalla calma alla furia nel giro di un attimo, McCarthy è così irresistibilmente da guardare che in genere ruba i film ai suoi coprotagonisti. Spy è il primo di cui lei è il personaggio centrale, e anche quello con il budget più grosso.

 

All’inizio del film, Susan appare più quieta, timida, delle donne che McCarthy ha interpretato in passato. L’intensità con cui partecipa alle avventure di Bradley tradita solo dagli occhi blu-blu, e dalla velocità con cui, senza mai abbandonare la scrivania, lo leva dai pasticci a distanza. Ma in un video di addestramento la sa vede combattere come un ninja e quando Bradley viene ucciso, sullo schermo, di fronte ai suoi occhi e l’identità degli altri agenti della sua squadra smascherata,Susan si trova, dall’ufficio nel seminterrato, catapultata in piena missione – sotto le spoglie di una grassa madre di famiglia del Midwest. Anche le armi che le danno in dotazione rientrano nel personaggio, nascoste come sono dentro a un lassativo, un collutorio per l’alito che puzza, salviettine per le emorroidi. Sul campo o no, l’umiliazione continua.

 

Al suo terzo film con McCarthy, Feig sembra aver trovato una chiave piuttosto felice per tradurre la grossa commedia hollywodiana in chiave femminile. Anzi, femminista. Se i superiori di Susan continuano ad umiliarla con false identità che trasudano accondiscendenza e stereotipi sessisti (tipo vecchietta amante dei gatti) non solo lei si rivela un agente segreto straordinario, capace di proteggere colleghi molto più esperti di lei, nella scena più bella del film Susan usa il suo personaggio «patetico», di donna rifiutata da tutti, e perdutamente innamorata di un uomo che non la vuole, per capovolgere una situazione pericolosissima. E sono gli uomini, buoni e cattivi, qui i più indifesi e i più ridicoli, a partire da Jason Statham che interpreta un’esorbitante caricatura di se stesso di nome Rick Ford, ma includendo Bradley.

 

In un cast pieno di attori interessanti, vanno segnalati – magnifica – l’attrice comica inglese Miranda Hart (nella parte dell’amica topesca di Susan) e (sempre inglese) Peter Serafinowicz, latin lover italiano che forse non è italiano per niente. Non uscire prima delle fine dei credits di coda, sono molto divertenti anche quelli.

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