Diario d’ascolto di un Keith Jarrett del luglio 2016, ultimo tour europeo, giorni ormai vicini al sopraggiungere della malattia che avrebbe posto fine alla sua carriera. Bordeaux Concert (Ecm) è in solo e il pianista-divo ne esce non bene ma benissimo. Emozionante. Convincente. Al suo massimo. Il concerto è diviso in 13 parti senza titolo. 1. È la miglior «ouverture» dei concerti in solo da parecchi anni ad oggi. Varie volte è stata il punto debole. Un primo ‘900 «colto» spregiudicato evolve in escursioni vertiginose in jazz (evolute e spregiudicate). C’è poi uno stato di quieta riflessione con divagazioni molto «jarrettiane» tipo Köln Concert – e il mitico riferimento tornerà di nuovo – fatte anche di esercizi accademici non privi di una elaborazione debussista-nightclubistica.

Convincente. Al suo massimo. Il concerto è diviso in 13 parti senza titolo. 1. È la miglior «ouverture» dei concerti in solo da parecchi anni ad oggi.

2. QUI MELODIZZA su una piattaforma blues con inflessioni vagamente «fado» (alla Blues for Pablo di Davis-Evans, per dire). Improvvisa alla sua maniera classica: distesa, lirica, cristallina, fino all’ultimo respiro, come negli anni ’70. 3. Un brano in forma di ballad con pretese. Non è il massimo ma non ci sono scadimenti, non ci sono accordi magniloquenti, il caro vecchio buongusto è omaggiato a dovere. 4. Sembra cadere nelle noiose armonizzazioni moderniste (primo ‘900) di alcune performances passate e invece ecco una gran sorpresa: un’improvvisazione jazz di purissimo stile avventuroso jarrettiano. Lirico e incalzante. Meraviglia. 5. Un quadro sonoro jazzistico con neo-bartokismi ben concepiti. Questo è un Jarrett maiuscolo, autore istantaneo di primissimo ordine da qualunque parte lo si guardi. E tutto in contrappunto tra le due mani. 6. Vogliamo dire melenso? Possiamo ma non dobbiamo, perché è un ricamo quasi pop di nobile fattura. 7. Non molto da annotare. Una divagazione sentimentale piuttosto convenzionale.

8. GOSPEL ELEGANTE con forte accentuazione ritmica. «Come ai bei tempi», torna il fascinoso fantasma di Colonia. Fascino enorme, piacere dell’ascolto enorme, pianista e compositore enorme. 9. Vedi il n. 7 ma con più complessità di struttura. Questo è il Jarrett distratto-pretenzioso. 10. È il pezzo più breve. Classicheggiante con classe. Non è avant, certo, non prevede improvvisazioni trascinanti, ma funziona. 11. Del tipo 7 e 9, ma con in più echi magistrali dell’epoca barocca. 12. Perché Jarrett anche nelle situazioni migliori faccia di questi pezzi inutili non si è mai capito. Passeggiate di armonie con prudenti progressioni. Le ha sempre fatte a scapito della sua grandezza di artista. 13. Fantastico rialzo del tasso di interesse e inventiva e giusto culto della propria memoria. Accenti blues all’inizio e nella repentina fine. Delicati. Quasi esitanti.