Splendori e miserie del pallone via cavo
Pagine di sport Giorgio Simonelli, «Quasi goal. Storia sentimentale del calcio in tv», da Manni Editore
Pagine di sport Giorgio Simonelli, «Quasi goal. Storia sentimentale del calcio in tv», da Manni Editore
«Il presidente è Sandro Pertini e non è un presidente qualunque. È l’antifascista che ha vissuto il confino e l’esilio, il partigiano capo del CNL che ha guidato la liberazione di Milano il 25 aprile del ‘45, l’uomo di grande dirittura morale e di tale sobrietà che divenuto presidente rinuncia a vivere nelle fastose stanze del Quirinale. Per questo è il presidente più amato dai cittadini. E quest’uomo tutto d’un pezzo, con una storia così potente alle spalle, così distante da ogni frivolezza, così attento a dare il giusto peso alle cose, a un certo punto, davanti a 37 milioni di suoi concittadini, di fronte a un gol della sua nazionale si alza di scatto come un bambino, come il più normale dei tifosi e si lascia andare al più ingenuo sospiro di sollievo. Se la cosa coinvolge tanto Pertini, perché non dovrebbe fare lo stesso effetto sugli altri italiani?».
A parlare è Giorgio Simonelli autore di Quasi goal. Storia sentimentale del calcio in tv (Manni Editore, San Cesario di Lecce, pagine 156, euro 15): rievoca dunque la breve sequenza forse più iconica, amata, condivisa nei rapporti fra pallone (anche football o soccer, come si preferisce) e politica (anche vita pubblica versus privata) nelle vicende internazionali: Tardelli segna lo splendido 2-0 degli Azzurri contro la Germania Ovest nella finale dei Mondiali di Spagna allo stadio Santiago Bernabéu l’11 luglio 1982; e Simonelli racconta che, dopo la rete, le telecamere inquadrano la tribuna d’onore dove, vicino a un compassato re Juan Carlos, «Sandro», il Presidente della Repubblica Italiana, si alza in piedi raggiante, alza le braccia al cielo e poi dal labiale si intuisce benissimo che esclama: «Ormai non ci prendono più». Il match, come si sa, finisce 3-1 per l’Italia, che diventa per la terza volta – la prima dell’era repubblicana democratica – campione del mondo. Commenta Simonelli, subito dopo: «Ecco cos’è il calcio: non motivo di strumentalizzazione politica, come accaduto in passato [il riferimento è alla dittatura di Videla in Argentina 78], ma momento di passione collettiva che, grazie alla diretta televisiva, coinvolge milioni di italiani insieme al loro presidente».
E questa passione collettiva è resa manifesta, in primis, dallo stesso autore (classe 1948) centrocampista dilettante da bambino fino a qualche anno fa (memorabile una partitella con l’amico/collega Aldo Grasso e i loro studenti) tifoso accanito della natia Pro Vercelli, nostalgico del Milan di Gianni Rivera, estimatore del gioco brasiliano (Pelé, Garrincha e dintorni), ma anche tanto altro. Benché assai rigoroso, soprattutto nelle ultime parti del libro, a descrivere i risvolti non solo sentimentali, ma anche economici, finanziari, tecnici, morali del calcio teletrasmesso, l’accademico, docente e divulgatore – tra i primissimi a occuparsi di sport nelle facoltà umanistiche – non perde di vista il côté autobiografico: lo palesa, nel testo, attraverso il piglio simpatico dell’intellettuale onnivoro fra straordinarie citazioni di libri, film, spettacoli, canzonette.
Simonelli dunque scrive la propria dichiarazione amorosa, in senso passionale e al contempo etico-erudito, verso uno sport che sa persino dispensare lezioni di vita, ma che solo il piccolo schermo, in una storia ormai settantennale, riesce a ben evidenziare, anche quando uno meno se l’aspetta.
Memorabile in tal senso il ‘finale di partita’ del libro che appunto si chiude con il ricordo di una diretta: si sta giocando, il 12 giugno 2021, a Copenaghen, Danimarca-Finlandia per gli Europei 2020 (posticipati di un anno a causa del Covid). Una conoscenza del calcio italiano – l’attaccante Eriksen fresco di scudetto con l’Inter allenata da Conte – al 42’ crolla a terra: Kjaer, capitano dei biancorossi, intuendo la gravità del malore, gli pratica un massaggio cardiaco (che gli salverà la vita, prima che arrivi l’ambulanza per il vicino ospedale), ma pretende subito che gli altri nove giocatori facciano scudo attorno al compagno, onde impedire alle videocamere di filmarlo. «Più di Maradona che urla la sua rabbia alla telecamera dopo il gol alla Grecia, più di Batistuta che usa la telecamera per comunicare il suo amore alla compagna dopo un gol segnato al Milan a San Siro, Kjaer ribalta in quel drammatico momento il rapporto tra i poli della comunicazione»: la scelta protettiva del capitano danese nei confronti dell’occhio televisivo alla ‘Grande Fratello’ (quello del romanzo di Orwell, non il reality di Canale 5) per Simonelli risulta un chiaro diretto intervento, da parte di un calciatore, nella scrittura della TV in tempo reale.
Insomma Kjaer da ‘oggetto’ diventa ‘soggetto’ (nell’accezione di ‘autore’) della messa in scena audiovisiva diretta, facendo compiere una piccola significativa rivoluzione al mass medium, rivelando come la televisione ‘cattiva’ maestra – espressione di trent’anni fa del filosofo Karl Popper – in quanto fautrice di molto voyeurismo e poco rispetto, talvolta possegga invece anticorpi e resistenze che possono, a loro volta, trovarsi in campo, dentro il rettangolo verde: in senso vero, chiaro, esplicito.
Occorre però tornare al 1982 e al maestro ‘buono’ di Simonelli, poi collega, il professor Gianfranco Bettetini, primo a introdurre in Italia la semiotica applicata ai mass-media, il quale elabora alcune teorie, frutto anche della passata esperienza di regista televisivo senza puzza sotto il naso, pronto a dirigere Campanile sera, L’amico del giaguaro o le tappe del Giro d’Italia, come pure a firmare il lungometraggi avanguardistici. Le teorie del ‘Bet’ – affettuoso soprannome universitario, derivato da Aldo Bet stopper di Inter, Roma, Verona, Milan tra il 1967 e il 1981 – peraltro serissime escono nel 1984 – fatidica data orwelliana – con il libro La conversazione audiovisiva, dove, nel capitolo Lo sport senza soggetto vengono individuati i tre fenomeni della riregolamentazione, della normalizzazione, della ridiscorsivizzazione, ossia, per quanto riguarda il calcio, via via nuove regole del gioco, metamorfosi in genere televisivo, materiale per citazioni e parodie.
Si entra ormai in quella che un amico/rivale in semiologia, Umberto Eco, definisce neotelevisione, dove il pallone è sempre più mattatore.
E non è un caso che da allora a oggi, lungo quarant’anni, il calcio, secondo il bettetiniano Simonelli, passi da generalista a simbolo della pay-tv: in tre step cronologici, marchiati dall’infittirsi di sempre nuovi programmi, alcuni innovativi (Quelli che il calcio, Mai dire goal) altri meno (Il processo del lunedì), che vengono analizzati con piglio sociologico, quasi abbandonando il ruolo del sentimentale rispetto al professore metodico, Simonelli non lesina spazio nemmeno a un’ex-allieva, Paola Abiezzi, della quale riporta la disamina delle telecamere disposte per la finale Brasile Italia (3-2, dopo i rigori) di USA 94: un modello di regia, come pure una trattazione esemplare di metodologia sportiva, benché, sul piano emotivo, Simonelli dia il massimo di sé quando narra, per via traslata, la ‘partita del secolo’ – le tre paginette su Italia Germania 4-3 prestatagli da Oscar Buonanno – oppure nella ricordare come il giuoco del pallone non richiami sono gli album delle figurine Panini (peraltro mai citati nel testo), ma possa, grazie alla televisione, fare riferimento a esempi nobili che vanno da Cronache di Bustos Domecq (Borges) a L’industria culturale (Morin), da Il matrimonio di Maria Braun (Fassbinder) a Blow Up (Antonioni), da Azzurro tenebra (Arpino) a Il racconto del Vajont (Paolini); e leggere Quasi goal sotto quest’ultima visuale può risultare di volta in volta un’opera aperta, un percorso iniziatico, una riflessione quasi marziana sui miti d’oggi, un viaggio nella memoria sia individuale sia collettiva.
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