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Spinte e pianti tra i migranti dell’ex Baobab

Spinte e pianti tra i migranti dell’ex BaobabU momento del blitz al Baobab – Simona Granati

Una decina di giovani africani portati via a forza per essere identificati

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 12 agosto 2016

La giornata a via Cupa comincia nel peggiore dei modi: divise, blindati e identificazioni forzate. Ieri mattina la sveglia è stata data infatti dall’ennesimo blitz delle forze dell’ordine, ormai il sesto in tre mesi.
C’erano davvero tutti anche questa volta: polizia, carabinieri, guardia di finanza, polizia municipale, digos. Più la sala operativa – che fa riferimento al dipartimento delle politiche sociali – e l’Ama.

Donne, uomini e minori – eritrei, etiopi, somali e sudanesi – sono stati fatti salire su due bus e un blindato, ma prima che l’ultimo fosse riempito dieci migranti, la maggior parte donne, hanno opposto resistenza e sono stati trascinati di forza tra pianti e grida disperate.

M., un ragazzo di 17 anni, etiope di etnia Oromo, piangeva incollato ad una sedia. Non riusciva più nemmeno a parlare in inglese e le uniche parole comprensibili tra i singhiozzi erano «military» e «Libia». Alla fine lo hanno dovuto alzare di peso, dopo essersi assicurati che giornalisti e fotografi fossero a debita distanza.

La destinazione, per tutti, è stata l’ufficio immigrazione di via Patini, zona Tor Cervara, dove una volta terminate le operazioni di identificazione sono stati letteralmente abbandonati fuori dai cancelli. Ed è ripartita di nuovo la carovana di auto delle attiviste e degli attivisti per riportare i migranti in via Cupa, dove nel frattempo erano state comprate nuove tende – un paio sono andate distrutte nel blitz – e si iniziavano a predisporre i materassi e le brandine lungo la via.

Sì, perché mentre ci si impegna con quattro corpi delle forze dell’ordine a prendere le impronte di questi disperati, ancora nulla è stato fatto per garantire loro un tetto, un letto dignitoso dove passare le notti durante il loro temporaneo soggiorno a Roma.

Sono passati più di 8 mesi dalla chiusura del centro Baobab, più di 15 dallo sgombero di Ponte Mammolo, ossia da quando il peso dei migranti in transito è stato preso in carico da cittadine e cittadini, senza il minimo supporto delle istituzioni. Ancora, nella capitale delle strutture abbandonate e degli appartamenti sfitti, non è stata trovata una soluzione.

La situazione romana è solo una faccia della mala gestione e del disastro istituzionale – a tutti i livelli – sul tema migrazione. Nella capitale pesa ancora il tradimento dell’ex commissario Tronca che aveva promesso l’individuazione di una soluzione strutturale e a lungo termine per i migranti in transito. La scelta, invece, è stata quella dell’immobilismo, nonostante gli attivisti di Baobab Experience avessero individuato un luogo dove trasferire i migranti, la rete di associazioni e il modello di accoglienza da creare. L’eredità ora grava pesante sulla nuova giunta e sull’assessore alle politiche sociali Laura Baldassarre.

Nonostante la sensibilità e l’impegno dimostrato, le operazioni procedono a rilento; entro fine agosto dovrebbe essere realizzata una tendopoli nella zona della Stazione Tiburtina con una capienza di 150-200 posti. Qui dovrebbero operare in sinergia le istituzioni e le associazioni che nell’ultimo anno si sono occupate dei migranti in transito in via Cupa, garantendo loro assistenza sanitaria, legale e attività culturali e ludiche. L’obiettivo è quello di non disperdere l’esperienza Baobab e valorizzare quanto, dal basso, cittadine e cittadini hanno realizzato. La migrazione non può essere un problema per uno Stato che si proclama democratico, tanto meno un reato: questa esperienza, che è solo all’inizio, è la dimostrazione che un altro modello di accoglienza è possibile e che i benefici che ne derivano sono per tutti.
* Baobab Experience

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