Economia

Spiagge, concessioni nel mirino della Ue

Spiagge, concessioni nel mirino della Ue

La Corte di Giustizia verso una sentenza che mette a repentaglio il lavoro di 30 mila imprese. I canoni però sono troppo bassi e dovranno essere aumentati. Il caso di 206 stabilimenti con affitti da capogiro: i proprietari rovinati hanno fatto causa allo Stato

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 26 febbraio 2016

L’estate è ancora lontana ma certo sui 30 mila stabilimenti balneari italiani i temporali non mancano mai. Questa volta i fulmini arrivano dalla Corte di giustizia europea, e in particolare dall’avvocato generale Maciej Szpunar, che ha giudicato contraria al diritto europeo la legge con cui l’Italia ha previsto la proroga automatica della durata delle concessioni demaniali marittime e lacustri fino al 2020. Il parere non è vincolante per il verdetto finale, ma va detto che generalmente le conclusioni dell’avvocato generale vengono riprese nella sentenza emessa dalla Corte.

La vertenza spiagge è arrivata all’alta Corte Ue grazie a una questione pregiudiziale avanzata dai Tar della Sardegna e della Lombardia, dopo i contenziosi aperti da due operatori del settore. In sostanza, secondo l’avvocato Szpunar, la proroga automatica e generalizzata della durata delle concessioni fino al 31 dicembre 2020 viola i principi di libertà di stabilimento, di protezione della concorrenza e di eguaglianza di trattamento tra operatori economici.

Lo scenario che potrebbe aprirsi, una volta emessa la sentenza della Corte, e nel caso che ricalchi – come probabile – quella dell’avvocato generale,sarebbe piuttosto caotico: di fatto, non valendo la proroga fino al 2020, si fisserebbe retroattivamente l’ultima scadenza delle concessioni al 2015, mettendo quindi le concessioni, ormai libere, all’asta.

Possibilità che non lascia tranquilli gli attuali concessionari, come è prevedibile: innanzitutto perché avevano programmato la propria attività di impresa e gli investimenti su altri tempi. E poi perché perderebbero, qualora non riuscissero a riprendersi una nuova concessione per mezzo dell’asta, tutti i beni d’impresa: dalle macchine dei bar agli ombrelloni, fino ai lavori fatti di recente per ammodernamenti. Si avrebbe diritto a un indennizzo? E nel caso, lo dovrebbe assicurare lo Stato o chi subentra?

La questione certo non fa dormire sonni sereni, anche se va detto che per una gran parte dei concessionari demaniali i canoni di concessione – e qui passiamo al secondo nodo del problema – sono piuttosto risibili, e comunque sproporzionati rispetto ai (spesso) lauti profitti realizzati. Il canone minimo tabellare è di 318 euro l’anno: molti stabilimenti viaggiano su questa cifra o poco più su, altri stanno più vicini ai 3 mila (che rappresenta il canone medio), ma insomma, è evidente l’inadeguatezza di queste cifre.

C’è però un piccolo nucleo di 206 concessionari che si è visto lievitare dal 2007 in poi (governo Prodi) i canoni addirittura del 3000/3500%, perché in alcuni casi (e in particolare per le cosiddette concessioni «pertinenziali», ovvero quelle che hanno delle strutture in cemento) si è aperta la possibilità di applicare i canoni del mercato immobiliare. Questi imprenditori sono stati letteralmente rovinati dall’improvviso boom dell’affitto, per niente paragonabile ai 318 euro l’anno, e non rientrano sicuramente tra i tantissimi privilegiati dell’ombrellone.

Dei 206, riuniti nel Coordinamento concessionari demaniali marittimi italiani, fa parte Walter Galli, titolare di uno stabilimento a Pomezia. Il canone chiesto dallo Stato per il suo spicchio di spiaggia viaggia sui 60 mila euro l’anno, quando prima del 2007 era di 5800: «Nel 2014 è stato di 58 mila euro – spiega – ma a quello devi aggiungere la tassa regionale, un altro 15% in più. Molti di noi sono andati in causa, e le stiamo vincendo tutte, ottenendo dei risarcimenti». Intanto l’ultima finanziaria ha concesso la proroga della sospensione dei contenziosi fino al settembre 2016, in attesa di una riforma dei canoni.

«Secondo noi è giusto riportare i canoni a livelli equi per tutti: oggi lo Stato incassa 103 milioni di euro l’anno, e se li adeguasse – riportando però quelli dei 206 pertinenziali ai livelli degli altri – potrebbe anche raddoppiare o triplicare il suo gettito. A nostro parere potrebbe ripartire dai parametri della riforma del 2006, utilizzandoli come base per gli aumenti».

«Sulle proroghe delle concessioni, ma questo è il mio parere personale – conclude Galli – posso dire sì alle aste, ma a patto che siano previsti indennizzi per gli investimenti e che si pensi a un regime transitorio per chi ha acquisito la concessione da poco»

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